Tuesday, December 23, 2014

News- il Coordinamento AGCI e piu

Costituito a Roma il Coordinamento AGCI Giovani Si è costituito a Roma, presso la sede nazionale dell’Associazione Generale delle Cooperative Italiane, il Coordinamento AGCI Giovani, che riunisce i rappresentanti under 40 delle strutture territoriali e delle imprese aderenti. Dopo l’apertura dei lavori da parte del delegato della Presidenza Nazionale, Carlo Scarzanella, è intervenuto il Presidente Rosario Altieri, che ha tracciato il quadro all’interno del quale AGCI Giovani sarà chiamata ad operare per la promozione della cultura cooperativa e la diffusione del modello mutualistico: un quadro caratterizzato certamente da evidenti criticità legate soprattutto al perdurare della crisi, ma anche da molteplici opportunità connesse, tra l’altro, alla capacità della Cooperazione di innescare processi virtuosi di sviluppo delle comunità locali e di valorizzazione del capitale umano, di assicurare un significativo contributo in termini di produzione di ricchezza e di mantenimento dei livelli occupazionali, nonché di sperimentare strade nuove e ricche di prospettive degne di attenzione quali, ad esempio, le cooperative tra professionisti. Numerosi ed interessanti sono stati gli interventi da parte dei presenti, che hanno riferito le proprie esperienze e sottolineato, in particolare, le difficoltà degli imprenditori, anche cooperativi, di sopravvivere nell’attuale contesto e la necessità, spesso, di guardare oltre confine per trovare quegli spazi che il mercato interno non offre più. AGCI Giovani nasce, quindi, come organismo aperto e, per ciò stesso, provvisorio, il cui lavoro, affidato al coordinamento di Antonella Cappadona, potrà condurre entro la primavera 2015 alla determinazione della sua compagine definitiva. COMUNICATO STAMPA:Alleanza Cooperative Italiane Mafia Roma «Se una Spa corrompe il sistema è salvo. se lo fa una cooperativa il sistema è marcio. Punire i singoli, non colpevolizzare settore» «Quando una Spa o una Srl compiono attività illegali che vanno dalla corruzione all’essere contenitore per attività economiche della criminalità non si mette in discussione l’impresa lucrativa o di capitali. Ed è giusto, perché la responsabilità è dell’imprenditore o dell’impresa che opera in modo illegale o criminale. Se capita con le cooperative, invece il sistema è marcio. No, noi non ci stiamo». Lo dicono Mauro Lusetti, Maurizio Gardini e Rosario Altieri, presidente e copresidenti dell’Alleanza delle Cooperative Italiane in risposta a Susanna Camusso segretario generale della Cgil. «È il sistema Italia che non funziona. Se l’Italia è il paese più corrotto d’Europa non sarà per colpa delle cooperative e delle imprese in generale che concorrono sul mercato corrompendo la PA. Le misure e gli strumenti per intervenire e combattere la corruzione ci sono. Siamo i primi a incoraggiare magistratura e forze dell’ordine a ripristinare la legalità. Chi concorre falsando le regole va fermato chiunque sia, ma non possiamo accettare che un sistema economico, quello cooperativo, che rappresenta l’8% del Pil e da lavoro a 1,3 milioni di persone venga bollato come malato e corrotto». «Riguardo alla cooperazione falsa, spuria e illegale ricordo che Governo, Centrali Cooperative e Sindacati, Cgil compresa, hanno siglato l’Avviso comune che ha portato alla nascita di 100 osservatori provinciali, strumento avanzato nella lotta alla cooperazione illegale. Le leggi ci sono vanno applicate, non è la moltiplicazione delle leggi che risolve i problemi, ma la sua attuazione». L’Avviso 25 di Fon.Coop – Tre milioni di euro per piani formativi settoriali e pluriregionali Fon.Coop, il Fondo interprofessionale delle imprese cooperative e dell’economia sociale torna a finanziare i piani settoriali. Lo scorso 28 novembre è stato pubblicato l’Avviso 25 settoriale con una dotazione di 3 milioni di euro, suddivisi in 12 settori d’attività che identificano le caratteristiche economiche delle associate al Fondo. Formarsi insieme per formare in grande, è questo l’obiettivo dell’Avviso 25: aggregando infatti la domanda formativa di più imprese di uno stesso settore o filiera economica il Fondo promuove una formazione integrata che sviluppa e valorizza le competenze necessarie per il rilancio delle cooperative in sintonia al proprio settore di appartenenza. Caratteristica dell’Avviso è anche favorire la pluralità territoriale: ogni piano deve infatti prevedere la presenza di imprese appartenenti ad almeno 4 regioni diverse, di cui una deve essere necessariamente del sud, e questo per stimolare un dialogo ed una collaborazione che includa territori più svantaggiati. La modalità con cui deve essere presentato l’accordo di concertazione sottolinea l’impegno ed il ruolo giocato in questo Avviso dalle Parti Sociali costituenti il Fondo. L’accordo sindacale può essere solo di livello nazionale e, se sottoscritto dagli organismi nazionali di settore di tutte le associazioni cooperative e da tutte le corrispondenti organizzazioni sindacali nazionali, il piano viene considerato strategico. L’Avviso 25 settoriale è il primo Avviso che utilizza il Nuovo Sistema informativo del Fondo, GIFCOOP. Le imprese e gli Enti di Formazione per partecipare all’Avviso dovranno preventivamente registrarsi a GIFCOOP. Tutte le informazioni sull’Avviso e sulla modalità di registrazione a GIFCOOP sono disponibili sul Sito. Il testo dell’Avviso è su www.foncoop.coop. Unlocking the potential of the social economy for EU growth A Roma, il 17 e 18 novembre 2014, presso l’Auditorium del Massimo, più di 170 relatori provenienti da 25 Paesi hanno discusso sul ruolo della Social economy in occasione della Conferenza promossa dal Ministero del Lavoro nell’ambito della Presidenza Italiana del Consiglio dell’Unione Europea. “Liberare il potenziale dell’economia sociale per la crescita in Europa”: questo lo slogan della manifestazione ed il tema di cui si è dibattuto nelle sessioni plenarie e nei dieci gruppi di lavoro tematici che hanno approfondito aspetti specifici quali le politiche di supporto a livello nazionale e comunitario, il rapporto con il settore pubblico e gli strumenti finanziari possibili. Le conclusioni dei lavori sono sintetizzate nel documento finale “La strategia di Roma”, da cui emerge innanzitutto la necessità di una visione d’insieme che consenta di mettere a frutto tutte le potenzialità di questo settore, insieme alla richiesta di un adeguato sostegno e di una efficace azione di promozione da parte della Commissione UE per far sì che esso possa davvero rappresentare un primario fattore di sviluppo per l’Europa. Alla due giorni ha partecipato la coordinatrice del settore AGCI Solidarietà, Giuseppina Colosimo, la quale è intervenuta al working group dedicato al tema “Economia sociale ed occupazione”, esponendo le riflessioni di seguito riportate. Nel nostro Paese, l’esclusione prolungata e in taluni casi permanente dal mondo del lavoro, continua ad essere un fenomeno rilevante, che colpisce in particolar modo alcune fasce di popolazione. L’esclusione dal mercato del lavoro porta con sé fenomeni sociali preoccupanti, quali la persistenza di ampie fasce di povertà e la riduzione del potere di acquisto delle famiglie; altri effetti riguardano problemi sociali, familiari e di salute connessi a tale esclusione. L’inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati è, in un certo senso, un “bene comune” che produce “esternalità positive” a favore delle comunità locali in termini di aumento della sicurezza e della coesione sociale, di qualità della vita e, non da ultimo, di risparmio di risorse pubbliche investite in servizi di cura e di contenimento che ne fanno uno dei migliori esempi di politiche attive del lavoro e di “welfare dello sviluppo”; va infatti evidenziata l’ampiezza e la dinamicità delle azioni della cooperazione sociale a sostegno dell’inserimento al lavoro. La cooperazione sociale è stata in questi anni in grado di inserire entro un ciclo produttivo competitivo i lavoratori svantaggiati (oltre 35 mila) che le altre imprese non riescono ad integrare, si è dimostrata attenta a fasce marginali del mercato del lavoro quali giovani, donne con carichi familiari e lavoratori anziani, ha operato con successo il collocamento di lavoratori deboli presso imprese ordinarie, si è affermata come protagonista dello sviluppo locale. Emerge con chiarezza che la cooperazione sociale per l’inserimento lavorativo non si riduca alla cooperazione sociale di inserimento lavorativo: a partire dall’esperienza sempre rilevantissima delle cooperative sociali di tipo B, la cooperazione sociale ha infatti, nel corso degli anni, costruito una molteplicità di strumenti per rispondere ad un insieme articolato di esigenze. La cooperazione sociale è in grado di offrire un contributo importante per superare l’esclusione dal mercato del lavoro: sta sul mercato valorizzando i lavoratori che altre imprese non riescono ad inserire nel ciclo produttivo, rende persone escluse dal mercato del lavoro inseribili in contesti ordinari, porta esempi di successo come soggetto promotore di iniziative di sviluppo locale. La cooperazione sociale dimostra come sia possibile fare impresa, vera impresa, competendo sul mercato, investendo, crescendo e incrementando l’occupazione, con il coinvolgimento nel processo produttivo di lavoratori che le altre imprese tendono ad escludere. Da oltre quarant’anni il nostro Paese si è dotato di misure tese a favorire l’occupazione di persone che rischiano di rimanere escluse dal mercato del lavoro. Le normative che tutelano il diritto al lavoro delle persone con disabilità rappresentano un concreto esempio di tutela del diritto al lavoro riconosciuto dalla Costituzione e hanno precorso una concezione culturale importante, in cui la cooperazione sociale si riconosce, tesa a responsabilizzare le imprese e la società circa l’integrazione sociale e lavorativa di tutti i suoi membri. L’esperienza delle cooperative di tipo B è da oltre trent’anni al centro dell’attenzione nel nostro Paese e nel contesto europeo. Oltre 35 mila persone svantaggiate oggi hanno occupazione, reddito e piena partecipazione alla cittadinanza grazie alle cooperative sociali: persone con disabilità, con problematiche di salute mentale, persone che escono da percorsi di dipendenza o dal carcere. Le categorie di svantaggio riconosciute dalla legge 381 del 1991 rappresentano solo una quota dei cittadini a rischio di esclusione dal mercato del lavoro che trovano opportunità di impiego nelle cooperative sociali. Molti altri lavoratori delle cooperative sociali sono caratterizzati da bassa qualificazione, età avanzata, presenza di carichi familiari difficilmente conciliabili con il lavoro, situazioni problematiche personali e familiari che ne determinano la presa in carico da parte dei servizi sociali, provenienza da paesi esterni alla Comunità Europea etc. Lavoratori quindi che, senza questa opportunità, rischierebbero un’esclusione permanente dal mercato del lavoro. Le cooperative sociali hanno conseguito questi risultati grazie all’adozione di soluzioni organizzative che hanno permesso l’abbassamento della soglia di ingresso nel mercato del lavoro, tale da consentire l’accesso al processo produttivo – reale, non simulato – anche a persone che normalmente ne sono escluse; l’inclusione nella produzione, all’interno di un contesto che prevede specifiche azioni volte a favorire la crescita e la professionalizzazione delle persone inserite, ha rappresentato un’innovazione sociale in grado di assicurare contemporaneamente reddito, autonomia, aumento delle capacità, integrazione sociale. Oggi bisogna essere in grado di svilupparsi in un contesto sempre più competitivo. La strategia di crescita va impostata tenendo conto della necessità di mettere in campo professionalità, reputazione, investimenti; e questo richiede alle cooperative di ragionare su consolidamento, inserimento in reti consortili, talvolta fusioni con altre cooperative. Insomma, strategie finalizzate al rafforzamento imprenditoriale. Le cooperative sociali di inserimento lavorativo hanno dato prova di competere ad armi pari con le altre imprese. La quota di commesse di lavoro derivanti da affidamento diretto da parte delle pubbliche amministrazioni è limitata, mentre la maggioranza del valore della produzione deriva da commesse conseguite sul mercato in concorrenza con altri soggetti, cooperativi e non. In questi anni è emerso come, accanto alla presenza significativa in alcuni mercati a rischio di saturazione e ad elevata concorrenzialità “al ribasso” (pulizie, manutenzione del verde, ecc.), le cooperative sociali si siano affermate con successo in un ampio ventaglio di attività – ad esempio attività informatiche e di elaborazione dati, impiantistica, turismo, agricoltura biologica, produzione di impianti per energie rinnovabili, attività artigianali e industriali, attività editoriali - alcune delle quali caratterizzate da una significativa propensione all’innovazione di prodotto e ad attrarre tecnologie e professionalità elevate, riuscendo tra l’altro a individuare soluzioni organizzative per includere in tali processi produttivi le persone in condizione di svantaggio. Sommet International des Coopératives - Québec 2014 Cooperative’s power of innovation Dal 6 al 9 ottobre scorsi si è tenuta in Canada la seconda edizione del Summit Internazionale delle Cooperative, l’assemblea biennale in occasione della quale i dirigenti delle imprese mutualistiche provenienti da tutti i Paesi del mondo si riuniscono per discutere della situazione presente e delle sfide future che ci attendono. Quest’anno la manifestazione è stata incentrata sul tema della capacità di innovazione delle cooperative con riferimento ai seguenti argomenti strategici: crescita e sviluppo della Cooperazione, finanza e capitalizzazione, sicurezza alimentare, servizi socio-sanitari ed occupazione. Ne hanno dibattuto circa 200 esperti di fronte ad una platea che complessivamente, nella quattro-giorni, ha superato i 3.000 partecipanti e ha registrato la presenza di ben 93 Stati. Per l’Italia, hanno partecipato, tra gli altri, all’evento il Presidente AGCI e Co-presidente dell’Alleanza delle Cooperative Italiane, Rosario Altieri, insieme a Carlo Scarzanella, componente il Board dell’International Co-operative Alliance in rappresentanza dell’ACI. Nell’occasione, si è svolta anche una riunione dello stesso Board finalizzata a fare il punto sullo stato di avanzamento del Blueprint, il Piano del decennio per le cooperative lanciato nel novembre 2013 durante l’Assemblea mondiale di Città del Capo e volto, tra l’altro, ad accreditare dette imprese quali soggetti costruttori di sostenibilità e meritevoli di particolare riconoscimento in quanto naturalmente inclini ad incorporare tale obiettivo nel proprio modello di valori e di funzionamento. Con 2,6 milioni di imprese, 1 miliardo di soci e 250 milioni di occupati, il Movimento cooperativo ricopre un ruolo fondamentale nell’economia di molti Paesi: i relatori hanno avuto modo, durante le diverse sessioni di lavoro, di comprovare che la Cooperazione è in grado di contribuire alla ricerca delle soluzioni più adatte ai problemi del mondo contemporaneo e di adattarsi ai continui cambiamenti del contesto in cui opera. Durante la manifestazione, il Presidente Altieri ed il dott. Scarzanella hanno avuto occasione di stringere rapporti con i rappresentanti della Cooperazione argentina e hanno altresì partecipato al ricevimento ufficiale al quale il Governatore Generale del Canada, Sir David Johnston, ha invitato i componenti l’ICA. Alleanza delle Cooperative Italiane Firmato il CCNL per le cooperative dello spettacolo 6 novembre 2014 E’ stato sottoscritto questo pomeriggio, presso il Palazzo della Cooperazione, a Roma, il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro per gli artisti, tecnici, amministrativi dipendenti da società cooperative e imprese sociali nel settore della produzione culturale e dello spettacolo. Questo CCNL è il primo del settore sottoscritto dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative che prevede la disciplina di tutte le attività e le figure professionali dello spettacolo, nonché un rafforzamento delle relazioni industriali nel settore Si tratta di una tappa storica. AGCI Culturalia, FederCultura Confcooperative, Legacoop Settore Cultura, per le centrali cooperative, e SLC CGIL, FISTel CISL e UILCOM UIL, per le organizzazioni sindacali, hanno portato a termine un percorso teso a creare uno strumento su misura per le imprese cooperative che operano nel settore e che sono state le prime a sollecitare l’avvio della trattativa. La cooperazione ritiene, infatti, che il valore della cultura vada espresso anche attraverso il rispetto di regole certe e negoziate e che vada combattuta la concorrenza sleale di chi si improvvisa e destabilizza il mercato come le false cooperative. In questo settore, sono ancora molti a ritenere che lo spettacolo non sia una professione e un’industria economicamente rilevante. Le cooperative operano da decenni nello spettacolo con professionalità e oggi si è finalmente riconosciuta la loro specificità anche dal punto di vista contrattuale. Nel CCNL vengono disciplinati il contratto intermittente e ad altri elementi di flessibilità fondamentali per chi è attivo in questo ambito, è introdotta una parte specifica sulla sicurezza dei lavoratori, si consente l’ampio ricorso all’apprendistato. E’un punto di partenza fondamentale per lo sviluppo della cooperazione dello spettacolo. MASTER IN ECONOMIA DELLA COOPERAZIONE Presso la Scuola di Economia, Management e Statistica dell’Alma Mater Studiorum Università di Bologna (sede di Bologna) è attivato per l’annualità accademica 2014 – 2015 un Corso di Master Universitario di I livello In Economia della Cooperazione (MUEC XIII Edizione, XIX Ciclo). L’iniziativa si avvale della collaborazione e del supporto organizzativo di AICCON (Associazione Italiana per la Promozione della Cultura della Cooperazione e delle Organizzazioni Non Profit) ed è promossa e sostenuta dell’Alleanza delle Cooperative Italiane e dalle tre “storiche” Associazioni di rappresentanza, assistenza e tutela del Movimento Cooperativo che vi hanno dato vita (Associazione Generale delle Cooperative Italiane - A.G.C.I.; Confederazione delle Cooperative Italiane - Confcooperative; Lega Nazionale delle Cooperative e Mutue - Legacoop). Il progetto didattico della XIII Edizione (XIX Ciclo) del Corso di Master, la cui durata è annuale, contempla una articolazione dell’iniziativa post-lauream in tre fasi temporalmente distinte: attività didattica in aula (gennaio – maggio 2015, per circa 200 ore), tirocinio curriculare (stage) presso imprese o strutture del Movimento Cooperativo (giugno – luglio [settembre] 2015, per complessive 300 ore), ritorno in aula (settembre 2015) per circa 30 ore. E’ previsto, per gli studenti lavoratori, un Project-work sostitutivo del periodo di tirocinio curriculare (stage). L’attività didattica d’aula del Corso si svolge esclusivamente nelle giornate del venerdì e del sabato mattina, per complessive 12 ore settimanali e per 21 settimane. Sarà possibile presentare le domande di partecipazione al colloquio di ammissione – che si terrà nella mattinata di sabato 6 dicembre 2014 – sino al prossimo lunedì 1 dicembre 2014. L’inizio delle lezioni dell’annualità è programmato per la mattinata di venerdì 16 gennaio 2015. Il Corso si tiene sotto la Direzione del Prof. Antonio Matacena, Ordinario di Ragioneria Generale ed Applicata (corso progredito) presso la Scuola stessa. INFO Per le informazioni di carattere didattico o scientifico (ovvero concernenti l’organizzazione generale dei lavori dell’annualità), è possibile contattare la Segreteria Didattica del Corso di Master ai seguenti recapiti: Master Universitario in Economia della Cooperazione MUEC | Università di Bologna | Scuola di Economia Management e Statistica| Piazza Antonino Scaravilli 2 - 40126 Bologna Telefono: 051 2098868 Fax: 051 2098040 E-mail: facecon.muec@unibo.it Le informazioni di carattere amministrativo possono essere invece richieste all’Ufficio Master dell’Università di Bologna, ai seguenti recapiti seguenti: Università di Bologna | Ufficio Master | Via San Giacomo 7 - 40126 Bologna Orari di apertura al pubblico: lunedì, martedì, mercoledì, venerdì dalle ore 9 alle ore 11,15; martedì e giovedì dalle ore 14,30 alle ore 15,30. Telefono: 051/2098140 Fax 051/2098039 E-mail: master@unibo.it

Thursday, December 18, 2014

una grande associazione internazionale- Slow Food

Che cos’è Slow Food Slow Food è una grande associazione internazionale no profit impegnata a ridare il giusto valore al cibo, nel rispetto di chi produce, in armonia con ambiente ed ecosistemi, grazie ai saperi di cui sono custodi territori e tradizioni locali. Ogni giorno Slow Food lavora in 150 Paesi per promuovere un’alimentazione buona, pulita e giusta per tutti. Oggi Slow Food conta su una fitta rete di soci, amici e sostenitori in tutto il mondo grazie e con i quali: Difendiamo il cibo vero Un cibo che cessa di essere merce e fonte di profitto, per rispettare chi produce, l’ambiente e il palato! Promuoviamo il diritto al piacere per tutti Con eventi che favoriscono l’incontro, il dialogo, la gioia di stare insieme. Perché dare il giusto valore al cibo, vuol dire anche dare la giusta importanza al piacere, imparando a godere della diversità delle ricette e dei sapori, a riconoscere la varietà dei luoghi di produzione e degli artefici, a rispettare i ritmi delle stagioni e del convivio Ci prepariamo al futuro Che ha bisogno di terreni fertili, specie vegetali e animali, meno sprechi e più biodiversità, meno cemento e più bellezza. Conoscere il cibo che si porta in casa, può aiutare il pianeta. Ecco perché Slow Food coinvolge scuole e famiglie in attività ludico didattiche, tra cui gli orti nelle scuole e i 10 000 orti in Africa Valorizziamo la cultura gastronomica Per andare oltre la ricetta, perché mangiare è molto più che alimentarsi e dietro il cibo ci sono produttori, territori, emozioni e piacere Favoriamo la biodiversità e un’agricoltura equa e sostenibile Dando valore all’agricoltura di piccola scala e ai trasformatori artigiani attraverso il progetto dei Presìdi Slow Food, e proteggendo i prodotti a rischio di estinzione con l’Arca del Gusto Che cosa facciamo Slow Food lavora in tutto il mondo per tutelare la biodiversità, costruire relazioni tra produttori e consumatori, migliorare la consapevolezza sul sistema che regola la produzione alimentare. In una visione che parte delle radici per arrivare alle nostre tavole, promuoviamo il diritto alla terra e sosteniamo i diritti della terra grazie a tantissime iniziative che partono dalle Condotte Slow Food (le associazioni locali) fino a progetti di portata internazionale, tra cui: 10.000 orti in Africa Nelle scuole, nei villaggi e nelle periferie delle città coltiviamo 10 000 orti per creare una rete di giovani che lavorano per salvare la straordinaria biodiversità dell’Africa, per valorizzare i saperi e le gastronomie tradizionali, per promuovere l’agricoltura familiare e di piccola scala Scopri il progetto deo 10.000 orti in Africa > Educazione alimentare, sensoriale e del gusto Coinvolge adulti e bambini presentando cibo con tutte le sue valenze culturali, sociali e naturalmente organolettiche. Con gli Orti in Condotta si avvicinano scolari e famiglie alla cultura alimentare, si impara il valore di semi e frutti, a tutelare le risorse della terra, per poi scegliere ciò che mangiamo in base alle nostre esigenze e non secondo quelle del mercato. I Master of Food sono un percorso educativo innovativo e originale, basato sul risveglio e l’allenamento dei sensi, sull’apprendimento di tecniche produttive del cibo e sulla degustazione come esperienza formativa. Vai al sito di Slow Food Educazione > Terra Madre Terra Madre è il sogno che diventa realtà, la globalizzazione positiva che dà voce a chi non si rassegna al modello omologante imperante. Oltre 2000 Comunità del cibo in tutto il mondo operano perché la produzione del cibo mantenga un rapporto armonico con l’ambiente e per affermare la dignità culturale e scientifica dei saperi tradizionali. Linfa di questa rete sono gli incontri regionali tenuti in tutti i continenti, per culminare nel Salone del Gusto e Terra Madre di Torino in una grande festa diventata il più importante appuntamento mondiale dedicato al cibo. Vai al sito di Terra Madre > Fondazione Slow Food per la Biodiversità Onlus Con la Fondazione Slow Food per la Biodiversità Onlus coordiniamo progetti che difendono le tradizioni locali, proteggono le comunità che nascono attorno al cibo, promuovono la sapienza artigiana. Oggi la Fondazione promuove e tutela 400 Presìdi Slow Food in tutto il mondo e 1000 prodotti dell’Arca del Gusto. Vai al sito della Fondazione Slow Food per la Biodiversità > Mercati della Terra Una rete internazionale fatta di trasformatori e contadini uniti da valori e regole condivisi tra loro e Slow Food. Un luogo dove incontrarsi, conoscersi, mangiare in compagnia e trovare prodotti locali e di stagione, presentati solo da chi produce quello che vende. 

Con spazi per i più giovani, per l’educazione del gusto, per gli eventi. Vai al sito dei Mercati della Terra > Salviamo il paesaggio Slow Food Italia fa parte del forum italiano dei movimenti per la terra e il paesaggio, un aggregato di associazioni e cittadini che lavorano per tutelare il territorio italiano dalla deregulation e dal cemento selvaggio. Perché negli ultimi 30 anni abbiamo cementificato un quinto dell’Italia, circa 6 milioni di ettari. Perché in Italia ci sono 10 milioni di case vuote, eppure si continua a costruire. Perché i suoli fertili sono una risorsa preziosissima e non rinnovabile. E li stiamo perdendo per sempre. Vai al sito di Salviamo il Paesaggio > Slow Food Editore Per favorire la consapevolezza del consumatore, promuovere un’agricoltura pulita, e intrattenere con ricette e proposte gastronomiche, e diffondere e amplificare il messaggio della chiocciola, nel 1990 nasce Slow Food Editore. Il secondo anno di attivitá pubblica il best-seller Osterie d’Italia – Sussidiario del mangiarbere all’italiana, per poi proseguire con un percorso editoriale che affianca l’evoluzione dell’associazione e oggi conta oltre cento titoli Vai alla pagina di Slow Food Editore > Università degli Studi di Scienze Gastronomiche di Pollenzo Nata e promossa nel 2004 da Slow Food con la collaborazione di Piemonte ed Emilia Romagna, è un’università privata legalmente riconosciuta. I percorsi di studio proposti, sono studiati per dare dignità accademica al cibo interpretato come fenomeno complesso e multidisciplinare attraverso lo studio di una rinnovata cultura dell’alimentazione. La nostra storia Movimento per la tutela e il diritto al piacere Nata Arcigola e fondata in Piemonte nel 1986 da Carlo Petrini, Slow Food diventa internazionale nel 1989 come «Movimento per la tutela e il diritto al piacere» e un manifesto d’intenti che pone l’associazione come antidoto alla «Follia universale della “fast life”» e «Contro coloro, e sono i più, che confondono l’efficienza con la frenesia, [a cui] proponiamo il vaccino di un’adeguata porzione di piaceri sensuali assicurati, da praticarsi in lento e prolungato godimento». Si iniziava dalla tavola, dal piacere garantito da convivialità, storia e cultura locali, per arrivare a una nuova gastronomia che presuppone anche una nuova agricoltura dove la sostenibilità (ambientale e sociale) è imprescindibile. Oggi rinnoviamo la fiducia nel diritto al piacere che ci ha portati a salvaguardare biodiversità e tradizioni, a educare al gusto e all’alimentazione consapevole, a organizzare il Salone del Gusto e Terra Madre, il più grande appuntamento internazionale dedicato al cibo, a fondare l’Università di Scienze Gastronomiche e a tessere la tela della grande rete delle Comunità del cibo di Terra Madre. Una prima esplicita dichiarazione d’intenti arriva con la nascita di Slow Food Editore che nel 1990 pubblica il best seller della nostra casa editrice: Osterie d’Italia, sussidiario del mangiarbere all’Italiana, che ancora oggi ci guida alla scoperta della migliore tradizione gastronomica del nostro Paese. Intanto l’organizzazione cresce: nello stesso anno con il congresso di Venezia si costituisce ufficialmente l’associazione Slow Food e gli anni successivi arrivano le sedi di Berlino (1992) e Zurigo (1993). Dal 1994 si lavora a più non posso: con Milano Golosa si sperimentano i primi Laboratori del Gusto, una formula a quei tempi avanguardistica per imparare, degustare e scoprire prodotti e divertendosi. La prima edizione del Salone Internazionale del Gusto (a novembre 1996) si rivela una bellissima festa, occasione, tra l’altro, per presentare l’Arca del Gusto, il grande catalogo mondiale che raccoglie i sapori tradizionali che stanno scomparendo. Con il convegno Dire fare gustare si apre il progetto di educazione alimentare e del gusto di Slow Food e nello stesso anno, inauguriamo a Bra (Cn), la prima edizione di Cheese – Le forme del latte, la rassegna biennale internazionale dedicata ai formaggi e che ogni due anni accoglie e riunisce centinaia produttori italiani e stranieri che grazie a Cheese hanno costruito una fitta rete di relazioni. Diventiamo ecogastronomi Intanto va sviluppandosi quella sensibilità ambientale che negli anni darà nuova linfa, contenuti e idee all’associazione, perché «Per dirla tutta: un gastronomo che non ha sensibilità ambientale è uno stupido; ma un ecologista che non ha sensibilità gastronomica è triste nonché incapace di conoscere le culture su cui vuole operare. Meglio l’ecogastronomia dunque» dichiara Carlo Pettini in Buono, pulito e giusto (Einaudi, Torino 2005) inaugurando una nuova prospettiva con cui guardare il sistema di produzione alimentare. «Le culture tradizionali hanno creato un patrimonio gigantesco di ricette, preparazioni, trasformazioni dei cibi locali o di facile accesso. Anche nelle zone del mondo più colpite dalla malnutrizione. Questi saperi gastronomici sono strettamente connessi con la biodiversità e rappresentano sia il modo per utilizzarla, sia il modo per difenderla. In più danno piacere, organolettico e anche intellettuale, perché simbolo di una cultura identitaria.» È il 2000 quando prende il via il progetto dei Presìdi Slow Food, interventi mirati per salvaguardare o rilanciare piccole produzioni artigianali e tradizionali a rischio di estinzione. Un programma supportato dalla prima edizione (Bologna 2000) del Premio Slow Food per la difesa della biodiversità, in un percorso che ha come traguardo la Fondazione Slow Food per la Biodiversità Onlus nata nel 2003 per sostenere Presìdi Slow Food e l’Arca del Gusto. Oggi la Fondazione è capofila dei tanti progetti Slow Food pensati per difendere e supportare sovranità alimentare e biodiversità. L’impegno politico continua e in Slow Food lancia la campagna No Gm Wines, contro la commercializzazione in Europa di viti transgeniche, e stila il Manifesto in difesa dei formaggi a latte crudo. Il percorso di educazione si potenzia con il varo dei Master of Food, corsi di educazione sensoriale pensati per gli adulti e con la decisione del quarto congresso internazionale (Napoli 2003) di lavorare affinché ogni Convivium, le sedi locali dell’associazione nel mondo, possa progettare l’avvio di School Gardens. Dall’ecogastronomia alla neogastronomia: la rivoluzione di Terra Madre Nel 2004, la Fao riconosce ufficialmente Slow Food come organizzazione no profit con cui instaurare un rapporto di collaborazione. Si inaugura la rinnovata Agenzia di Pollenzo (Cn) che ospita la prima Università di Scienze Gastronomiche al mondo riconosciuta dal nostro Ministero. Genova ospita la prima edizione di Slow Fish, rassegna dedicata al pesce e alla pesca sostenibile. Ma il 2004 è soprattutto l’anno di Terra Madre: per la prima volta a Torino si incontrano cinquemila delegati da 130 Paesi: contadini, pescatori, artigiani, nomadi, giovani, vecchi, musicisti, cuoche e cuochi, accademici di tutto il mondo riniti in una tre giorni di laboratori, incontri, scambi, esperienze e festa. Terra Madre è il nuovo soggetto al servizio del pianeta, rappresenta ciò che è stato definito come “glocalismo”: una serie di piccole azioni locali che hanno grandi ripercussioni a livello mondiale. Slow Food è ciò che siamo e Terra Madre ciò che facciamo. Nel 2006 Slow Food compie 20 anni e festeggia in occasione del VI Congresso Nazionale di Slow Food Italia a Sanremo, dove si battezza e dà l’avvio al progetto Orto in Condotta. L’anno seguente Slow Food Italia aderisce alla coalizione ItaliaEuropa – Liberi da Ogm che raccoglie oltre 3,6 milioni di Sì con la consultazione nazionale sul tema “Vuoi che l’agroalimentare, il cibo e la sua genuinità, siano il cuore dello sviluppo, fatto di persone e territori, salute e qualità, sostenibile e innovativo, fondato sulla biodiversità, libero da Ogm?”. A Montpellier Slow Food organizza la prima edizione di Vignerons d’Europe, meeting di vignaioli da tutto il continente. A Puebla, in Messico, il quinto congresso internazionale di Slow Food riunisce 600 delegati. Nel 2008 la rete di Terra Madre organizza meeting in Etiopia, Irlanda e Olanda che culminano nella terza edizione del meeting torinese che si svolge in concomitanza del Salone Internazionale del Gusto. Nello stesso anno nascono i Mercati della Terra, rete mondiale di mercati contadini. Seconda festa nazionale degli Orti in Condotta. Gli incontri regionali di Terra Madre continuano l’anno seguente in Tanzania, Argentina, Bosnia, Norvegia e Austria. Il 10 dicembre (ventennale dell’associazione internazionale) si tiene in tutto il mondo la prima edizione del Terra Madre Day, uno dei più importanti eventi collettivi di celebrazione del cibo buono, pulito e giusto. Più di 1000 appuntamenti in 150 Paesi hanno coinvolto oltre 2000 comunità del cibo e circa 200 000 persone. Nel 2010, mentre Slow Food Italia va a congresso per la settima volta, in Bulgaria si riuniscono per la prima volta le Comunità del cibo dei Balcani Terra Madre Balcani. Nel 2011 Slow Food compie 25 anni: in 300 piazze d’Italia si festeggia lo Slow Food Day. Prende avvio Slow Food Europe la nuova campagna nata per promuovere la sostenibilità, la protezione della biodiversità e supportare le produzioni di piccola scala. A Jokkmokk, in Svezia, per la prima volta si riuniscono le comunità del cibo di Terra Madre Indigenous. Durante l’incontro è stato firmato l’accordo di Jokkmokk, una dichiarazione per ribadire i diritti dei popoli indigeni. Nel 2012 abbiamo fatto un’ulteriore passo per porci come soggetto politico internazionale: il Salone Internazionale del Gusto ha aperto le porte a Terra Madre dando vita a un unico evento, unico nel suo genere, capace di accogliere e diffondere le istanze di migliaia di Comunità che in tutto il mondo si impegnano per dare il via a un nuovo paradigma che pone produttori, consumatori e prodotti al centro di un sistema che sfugge le logiche del profitto. Oggi ancora con più determinazione di ieri vogliamo metterci a fianco degli agricoltori, a partire dalle Comunità del cibo che già operano nella rete di Terra Madre ma anche da quelle che ancora non ne fanno parte e che non vediamo l’ora di accogliere. Per questo vogliamo lavorare per rafforzare questa rete, con i suoi progetti, con il lavoro quotidiano dei suoi collaboratori e dei suoi volontari. Quale allevamento per quale benessere 18/12/2014 Allevamenti intensivi Circa 32mila volatili sono stati abbattuti in un allevamento di Porto Virno, a cinquanta chilometri a sud di Venezia, a causa di un’epidemia di influenza aviaria del ceppo H5N8. Vi diciamo subito che il virus è mortale per gli animali, ma rappresenta un rischio molto basso per gli uomini. Non vogliamo creare panico ma richiamare la vostra attenzione su un altro punto. La diffusione di questo virus su larga scala avviene quando entra negli allevamenti intensivi. Un fattore fondamentale capire come arginare l’epidemia e iniziare a ragionare seriamente su che tipo di allevamento vogliamo. Ancora una volta sotto accusa ci sono tipi di allevamento che, oltre a stressare (per usare un eufemismo) gli animali, risultano pericolosi per gli uomini e assolutamente indecenti per l’ambiente. Per tornare a Porto Virno vi diciamo anche che si sta cercando di bypassare e attribuire le responsabilità a fattori esterni. In questo caso gli uccelli selvatici: «Anche se l’origine del contagio da parte degli uccelli selvatici non è da escludere, non può però essere considerato la causa principale della diffusione del virus. Infatti, bassi livelli di influenza aviaria sono naturalmente presenti negli uccelli selvatici, ma la diffusione su larga scala viene in un certo modo limitata grazie al loro migliore sistema immunitario e alle migliori condizioni degli ambienti in cui vivono, in cui non sono, a differenza dei volatili allevati in modo intensivo, ammassati gli uni sugli altri a densità altissime» ben spiega l’associazione CIWF Italia Onlus che lavora per la protezione e il benessere degli animali negli allevamenti. Insomma, qui non si tratta di capricci da elitari radical chic, né di eccessiva sensibilità animalista. Non possiamo più rimanere indifferenti e ignorare che il benessere degli animali che sono destinati alla nostra nutrizione è legato alla salute pubblica, alla sicurezza alimentare e alla tutela dell’ambiente. Dobbiamo metterci in testa che le condizioni di allevamento intensivo rende gli animali più vulnerabili alle malattie. Ed è per questo, che spesso, gli animali allevati, meglio dire ingrassati industrialmente, vengono sottoposti a intervalli regolari a iniezioni di vaccini e antibiotici, sostanze potenzialmente nocive per chi ne consumerà la carne. Non solo. L’industria della carne costituisce una grave minaccia per la sopravvivenza di quegli allevatori di piccola scala che non riescono a reggere la competizione con i grandi produttori e con i bassi prezzi della produzione seriale di carne. Che cosa possiamo fare noi ogni giorno? Il nostro non è un invito a rinunciare al consumo di carne, ma di scegliere: le nostre decisioni possono incidere su un cambiamento in positivo del sistema alimentare globale. E, parlando di carne, possiamo fare davvero molto. Qualche consiglio: 1. Consuma meno carne ma di migliore qualità. Se eviti la carne proveniente dagli allevamenti intensivi e se scegli carne prodotta secondo standard elevati di benessere animale, avrai già fatto tantissimo. E aumenta i consumi di legumi e vegetali. 2. Scegli specie e razze diverse. In Europa si consumano prevalentemente suini e pollame; negli Stati Uniti bovini; in oriente avicoli… Se la domanda dei consumatori si concentra sulle stesse tipologie, solo una produzione di tipo intensivo potrà accontentarli. Variare la scelta significa allentare la pressione su determinati tipi di animali. 3. Scegli tagli diversi e impara a fare acquisti meno convenzionali. Un bovino non è fatto solo di “bistecche” e un pollo non è fatto di solo petto. La concentrazione della domanda sugli stessi tagli determina elevati sprechi alimentari, e tutta la carne sprecata determina… un aumento spropositato della domanda di nuovi animali da allevare. Riscoprire le ricette tradizionali ti aiuterà a capire che a ogni taglio corrispondono ricette specifiche, in grado di valorizzarlo al meglio. 4. Diffida di prezzi troppo bassi, perché spesso sono indice di una pessima qualità dell’alimentazione somministrata agli animali, di sfruttamento, di costi nascosti che ricadono sull’ambiente o ancora delle pessime condizioni lavorative applicate negli allevamenti e nei macelli industriali. 5. Ricordati che locale è meglio. Anche quando acquisti la carne, verificane sempre la provenienza ed evita quella di importazione. 6. Leggi bene le etichette che possono fornire informazioni utili, sul tipo di carne che stai mangiando. L’etichetta narrante dei Presìdi Slow Food, ad esempio, dà molte informazioni utili sulle caratteristiche della razza, su dove e come viene allevata, sulla sua alimentazione e sulla macellazione. Se non hai tempo per leggere, almeno informati dal tuo macellaio sulla specie di animale che stai acquistando. 7. Metti il benessere animale al primo posto. Per farlo, affidati a consorzi, associazioni o aziende che adottano disciplinari rigorosi sull’alimentazione e il benessere degli animali. 8. Non riempire troppo il tuo carrello. Per l’acquisto di carne fresca limitati a comprare quel che consumerai nel breve periodo. 9. Sii curioso. Chiedi al tuo macellaio carne di qualità e stimolalo a scegliere quella di animali allevati nel rispetto del loro benessere. Concediti, se puoi, qualche “gita” in fattoria, di tanto in tanto. Sarà utile per capire come vengono allevati gli animali, cosa mangiano, a che età vengono macellati. 10. Fa’ che la rinuncia sia piacevole. Mangiare meno carne non è una condanna: ne guadagna la tua salute, quella dell’ambiente e il benessere animale. Ricordati di “sostituirla” con alimenti gustosi e di stagione, e non ne sentirai troppo la mancanza. Per approfondire puoi consultare la nostra sezione dedicata alla carne e la posizione di Slow Food sul benessere animale A cura di Michela Marchi Se il Parmigiano reggiano costa meno dello stracchino 17/12/2014 Domenica 14 dicembre una bella pagina di Repubblica a firma Jenner Meletti e corredata da un commento di Carlo Petrini (che riprendiamo per intero) ci segnala l’ennesima distorsione di un mercato che fagocita e ben poco restituisce a chi lavora con dedizione, impegno, responsabilità. Veniamo subito al dunque e riportiamo pochi numeri che ben inquadrano il problema: negozio InCoop, centro di Bologna. Mozzarella Vallelata, 10,16 euro al chilo. Mozzarella Santa Lucia, 11,36. Stracchino cremoso Granarolo 14,65. E il Parmigiano Reggiano? Nella grande distribuzione, spunta prezzi civetta di 9-10 euro al chilo. «Nel 2012 il formaggio stagionato fra i 12 e i 24 mesi ci veniva pagato 9 euro. L’anno scorso la media è stata di 8 euro. In questo 2014 non supereremo i 7 euro. Per il nostro lavoro servono puntualità e tanta, troppa pazienza» racconta a Repubblica Giorgio Affanni, allevatore di 130 capi con 60 vacche in mungitura. Che cosa sta succedendo? Ancora una volta ricorriamo ai numeri per chiarirci le idee: «Da tre milioni di forme prodotte – raccontano Cristiano Fini e Antenore Cervi, presidenti della Cia, Confederazione italiana agricoltori, a Modena e Reggio Emilia – siamo passati a tre milioni e trecentomila. E questo ha messo in crisi il mercato perché l’offerta ha superato la domanda. Con la crisi economica, inoltre, il reddito delle famiglie è diminuito. Per questo il Consorzio del Parmigiano Reggiano ha deciso, per il 2015, di “tagliare” la produzione di latte di 800.000 quintali, pari al 5% del totale. Le forme in meno saranno 150.000». Purtroppo non è solo l’over produzione a indebolire il comparto, ma ci si mette anche la distribuzione. Negli spacci aziendali dei caseifici viene commercializzato solo il 10% del prodotto, con prezzi che vanno da 10 ai 14 euro, quasi il doppio di quelli all’ingrosso. Le vendite all’estero continuano ad andare bene e hanno raggiunto il 30% del totale, ma questo mercato è in gran parte in mano agli esportatori che hanno comprato spendendo il minimo. «I sintomi di una crisi del Parmigiano reggiano sono evidenti da anni a tutti i livelli della filiera produttiva. Chiusura di stalle e caselli, prezzi sempre meno remunerativi, sconforto dei produttori, non sono segnali passeggeri, ma effetti che tendono a diventare un problema per molto tempo e, quindi, a compromettere il futuro di questo straordinario patrimonio. Come contraltare l’effluvio di parole e balle sul Made in Italy e l’ostentazione gourmettista di elogi sui media. Una schizofrenia insopportabile per ogni persona che ha a cuore il destino di questo storico formaggio e il benessere di una vasta comunità di produttori. Servirebbe una seria e approfondita analisi del problema a partire dalla comunicazione e dall’educazione dei consumatori. Il Parmigiano reggiano non può competere con forme di marketing di tipo industriale; deve saper esaltare le eccellenze, anche se di piccola scala. Il Parmigiano reggiano non è tutto uguale e, quindi, va valorizzata con più determinazione l’alta qualità rispetto al prodotto medio. Una scala di valori e di prezzi rispetto alla qualità non può che far bene. Una produzione semi-anonima (non basta il numero del casello inciso sulla forma) non serve a posizionare le partite a prezzi giusti. Se il Barolo o il Chianti non fossero distinti per territorio, vigna, produttore e annata, e tutto fosse genericamente Barolo o Chianti, i nostri vigneron non avrebbero gli occhi per piangere e sarebbero in balìa di commercianti senza scrupoli. La diversità del prodotto è la base della sua fortuna e genera, se ben retribuita, l’ambizione di lavorare con più attenzione verso l’eccellenza. Poi, a questo punto, si potrà spiegare ai cittadini consumatori il valore nutrizionale di questo formaggio che non ha pari al mondo e non può essere usato solo grattugiato. Forse è giunto il tempo del cambiamento e di capire l’insostenibilità di questa carenza di valore e di prezzi risibili. Parafrasando il grande Gino Bartali sul fronte dell’informazione e del marketing del Parmigiano reggiano si potrebbe dire: L’è tutto sbagliato, l’è tutto da rifare!». Carlo Petrini, da La Repubblica del 14 dicembre 2014 Dimmi che bio scegli e ti dirò chi sei 16/12/2014 Immaginiamo che gran parte di voi abbia visto la puntata di Report sul bio (sì, dai, ci torniamo anche noi) e allo stesso modo immaginiamo che la maggior parte di coloro che hanno impiegato così la propria domenica sera non abbiano visto soddisfatte le proprie aspettative. Per chi è più che interessato a quello che mangia, a come viene prodotto, a trovare un cibo buono per sé, per l’ambiente e per chi lo produce, non serve forse un servizio giornalistico che, se ha avuto il merito di insinuare il dubbio e sollecitare più controlli, non offre rifugio al consumatore finale. La regola per noi è sempre la stessa: cerchiamo di conoscere chi ci offre il cibo che portiamo in tavola, siamo curiosi, non temiamo di tediare il nostro spacciatore di verdurine di fiducia con mille domande e oltre al naso e alla bocca usiamo la testa. Presuntuosi? Direi piuttosto prudenti e interessati. E non mi venite a dire che non avete tempo perché conosco mamme con prole frignante al seguito che, nonostante il lavoro full time, riescono a organizzare incursioni al mercato, a scovare gruppi d’acquisto di ogni specie e a non impazzire. Le rese del bio raggiungono quelle del convenzionale Tornando a Report, forse un po’ più di approfondimento da una trasmissione di quel livello (che pur ha avuto il merito di svegliare il can che dorme soprattutto in Piemonte), sarebbe stato gradito. Certo, vale mettere in guardia dalle truffe (ma sul marketing del packaging dei cosmetici, nessuna novità, ci pare, no?), ma possibile che siano tutti imbroglioni? L’aspetto su cui ci piacerebbe invece soffermarci è un altro. Possibile che si debba dimostrare a suon di certificati – con costi indecenti e processi burocratici svilenti – di essere completamente naturali? Questo onere non dovrebbe invece ricadere su chi produce inquinando, proponendo un prodotto arricchito da tossine e veleni? Perché lo sforzo debbono farlo i virtuosi? Domanda retorica, va bene, ma sarebbe bello che i consumatori pretendessero altro, considerato che siamo noi a tenere su il Mercato. Già che stiamo parlando di bio, volevamo segnalare ancora altri due notiziole. O meglio, studi che sostengono come le coltivazioni biologiche potrebbero nutrire il mondo. Quello pubblicato dalla Royal Society il 10 dicembre mostra come le rese dell’agricoltura bio possano raggiungere quelle dell’agricoltura convenzionale. Senza utilizzare quantità smisurate di pesticidi e fertilizzanti sintetici che soffocano gli ecosistemi marini con fioriture di alghe pestifere. Questa ricerca, opera della prestigiosa Università di Berkeley in California, dimostra come la differenza di rese tra colture biologiche e convenzionali, se si rispetta la rotazione stagionale, può raggiungere la soglia dell’8%, percentuale decisamente inferiore rispetto al 25% stimato in precedenza. Se quanto affermano gli studiosi californiani fosse vero, significherebbe che le coltivazioni bio possono sfamare il pianeta. Prima degli applausi, però, vorrei invitarvi a una riflessione. Le maggiori rese non aiuteranno a combattere fame e obesità (l’assurdo paradosso che viviamo con sfacciata indifferenza), soprattutto perché in realtà la maggior parte delle colture finiscono con alimentare allevamenti e auto, non le persone. Negli Stati Uniti infatti, più di tre quarti delle calorie prodotte dalle aziende agricole è destinato all’allevamento e ai combustibili biologici. Insomma il punto è sempre lo stesso: la fame zero si raggiunge aumentando l’accesso al cibo, non aumentando le rese… Dati alla mano, allora, quanto ci serve l’agricoltura industriale a sfamarci? Il problema non è quindi coltivare di più, ma garantire alle comunità accesso al cibo e sovranità alimentare. La strada, non ci stanchiamo di ribadirlo, è quella dell’agricoltura familiare. Puntiamo sull’agricoltura familiare E ancora una volta non siamo i soli a sostenerlo: un recente sondaggio a cura di Grain che, grazie a una corposa base dati raccolti in tutto il mondo, mette in luce come sono i produttori di piccola scala a sfamare il mondo e lo fanno utilizzando solo il 24% della superfice coltivabile, o il 17% se si escludono Cina e India. E come fanno questi contadini a sfamarci tutti coltivando una superficie così irrisoria? Il paradosso è che le piccole aziende agricole spesso sono molto più produttive di quelle grandi. The Ecologist ci informa che se i rendimenti delle piccole aziende keniote fossero messe nelle stesse condizioni delle produzioni su larga scala, la produzione raddoppierebbe. In America Centrale triplicherebbe. Se le rendita delle mega aziende in Russia raggiungesse i risultati di quelle piccole, la produzione aumenterebbe di sei punti. Insomma, crediamoci. Con un po’ più di impegno e interesse possiamo davvero migliorare il mondo con la forchetta. Il bio costa troppo e non ci fidiamo per via dei “biofurbetti”? Chiediamo, informiamoci e valutiamo le nostre priorità d’acquisto. Michela Marchi Lima: un’altra occasione persa 15/12/2014 «Riunire le delegazioni di 195 Paesi per discutere di clima e uscire dopo due settimane con un documento debolissimo che rinvia l’appuntamento a Parigi 2015 vuol dire aver perso un’occasione adesso, rimandando di un ulteriore anno interventi tardivi già decenni fa». È questo il commento di Gaetano Pascale, presidente di Slow Food Italia, sulla conferenza Onu di Lima sui cambiamenti climatici (Cop20) che dopo giorni di dibattito si è conclusa ieri a notte fonda, con l’ennesimo compromesso. Il motivo di queste continue insicurezze, accordi tampone e temporeggiamenti è noto ormai da anni, raggiungere un equilibrio tra i tetti di Co2 emessi dai Paesi del Nord del mondo e quelli delle industrie in via di sviluppo: «I Paesi industrializzati devono assumersi le proprie responsabilità e accettare il maggior peso derivante dalla riduzione di gas serra a disposizione, accompagnando le industrie del Sud del mondo in una crescita sostenibile», continua Pascale. «Tuttavia voglio concludere con un messaggio positivo, auspicando che si arrivi a Parigi 2015 con un accordo che non sia il frutto di un compromesso ma che impegni i Paesi a prendere provvedimenti davvero seri e quantificabili». Ed effettivamente così dovrebbe essere dato che, sulla base dell’accordo sottoscritto a Lima, i Paesi dovranno presentare all’Onu entro il 1° ottobre 2015 impegni «quantificabili» ed «equi» di riduzione delle emissioni, oltre a una dettagliata informazione sulle azioni da seguire. È poi previsto che gli esperti della convenzione del cambiamento climatico (Ipcc) esaminino l’impatto di tali misure per ogni singolo Paese per verificare se sono sufficienti affinché la temperatura non salga oltre i due gradi in più rispetto a prima della rivoluzione industriale. Sulla base del documento approvato, i Paesi firmatari s’impegnano a rispettare una serie di azioni in vista di Cop21, il cui obiettivo è l’adozione di un accordo universale e vincolante per limitare il riscaldamento climatico a 2 gradi. «Con Lima è la ventesima volta che le delegazioni si incontrano per discutere di cambiamenti climatici, senza tuttavia giungere a interventi significativi e risolutivi. È un segnale della lentezza con sui si procede nel prendere provvedimenti sul clima. È anche vero che Lima è nata come un appuntamento di transizione perché si punta tutto su Parigi», commenta Luca Mercalli, climatologo e presidente della Società Meteorologica Italiana Nimbus. Come ormai da anni accade, il nodo da sciogliere è il rapporto tra le emissioni dei Paesi industrializzati, quelli che storicamente hanno inquinato per decenni senza alcuna regola, e quelli in via di sviluppo, che per crescere a un ritmo incalzante hanno impiegato le nostre macchine antiquate e altamente inquinanti: «Adesso è necessario, da un lato definire limiti accettabili per ciascun Paese e dall’altro investire affinché anche chi sta cominciando a produrre adesso possa usufruire di tecnologie adeguate e non così impattanti sull’ambiente», prosegue il climatologo. Andando oltre la più stringente attualità, e analizzando questo 20 anni di incontri, «L’accordo dei sogni adesso non è più realizzabile, avrebbe avuto senso se fosse andata bene la conferenza di Rio del 1992, invece ogni anno non si fa altro che aggravare la malattia climatica», continua Mercalli. «Quello che possiamo fare adesso è investire le nostre risorse di cittadini e governi in vista di Parigi 2015 affinché il documento che ne uscirà sia buono. C’è da considerare che siamo già oltre e possiamo solo salvare il salvabile». Il vertice di Lima è cominciato il 1 dicembre 2014, a 9 anni dagli accordi di Kyoto. Intanto, nonostante gli sforzi degli ultimi anni e gli investimenti sulle energie rinnovabili, la crescita delle emissioni di Co2 è aumentata. Questo, però, non significa che non sia possibile un’inversione di tendenza, come afferma Christiana Figueres, segretario esecutivo della Convenzione delle Nazioni Unite sul clima, che non chiude a una speranza per la Terra: «Mai prima d’ora i rischi del cambiamento climatico sono stati così evidenti e gli impatti così visibili. Mai prima d’ora abbiamo visto un tale desiderio a tutti i livelli della società di agire per il clima, e mai prima d’ora la società aveva tutte le politiche e le risorse tecnologiche intelligenti per ridurre le emissioni di gas a effetto serra e favorire la resilienza». Fonte: Misna.it, Corriere.it, Repubblica.it Elisa Virgillito Olio d’oliva italiano cercasi 15/12/2014 Una bottiglia su tre “bevuta” dalla mosca olearia: questa l’immagine che meglio rappresenta il panorama dell’olio italiano. Un momento molto difficile, con un calo della produzione del 37% rispetto al 2013, che raggiunge punte del 45% in Umbria e Toscana. In numeri, parliamo di 300mila tonnellate di olio contro le 464mila del 2013 (dati Istat). Tra le cause principali, un clima instabile, troppo caldo nel periodo di fioritura e umido in estate, aggravato dalle ultime grandinate. Il risultato è amaro: un intero settore agricolo è in ginocchio, l’olio scarseggia e i consumatori devono fare i conti con prezzi più alti e potenziali truffe. Stando alle stime di Coldiretti, le importazioni raggiungeranno i massimi storici: 700mila tonnellate contro le 481mila del 2013. In altre parole, due bottiglie su tre riempite in Italia contengono olio di oliva straniero. Nuove etichette Cosa cambierà con la nuova normativa in vigore dal 13 dicembre? La nuova etichettatura europea metterà in evidenza le diciture sulla provenienza degli oli, garantendo informazioni più trasparenti seppur ancora generiche. Il primo passo nella giusta direzione, anche se il percorso resta lungo. «I produttori che lavorano soprattutto o solo le proprie olive sono comunque penalizzati dal non poter inserire in etichetta tutte le informazioni relative a luogo di produzione e processo produttivo, a meno che non ricadano in aree a Denominazione di Origine Protetta o non ne rivendichino la certificazione», commenta Gaetano Pascale, presidente di Slow Food Italia. «È vero, con la nuova normativa sarà obbligatorio indicare gli Stati, ma non basta. Per noi di Slow Food è fondamentale indicare tutte le informazioni sul processo produttivo dimostrabili dal produttore», conclude Pascale. Tappo antirabbocco È di pochi giorni fa la norma che vieta l’utilizzo delle oliere in ristoranti, pizzerie, mense e bar. Ora sul tavolo dobbiamo avere contenitori etichettati e forniti di dispositivo di chiusura che non possa essere sostituito senza danneggiare la bottiglia. Ma anche su questo aspetto Pascale solleva alcuni dubbi: «L’obbligo di avere bottiglie provviste di etichette nei ristoranti è senza dubbio un fatto positivo, il dispositivo di chiusura però ha un’incidenza significativa, per piccoli numeri, sul costo delle bottiglie». Attenti alle truffe Tra carenza di olio, modi per aggirare la normativa ed etichette poco precise, lo scenario non è per nulla sereno. Quindi occorre fare moltissima attenzione al momento dell’acquisto, perché purtroppo gli escamotage sono molti. Per ridare smalto e colore agli oli vecchi, infatti, qualcuno aggiunge betacarotene e clorofilla, spacciandoli poi per oli di qualità. Vero è che il sapore dovrebbe comunque mettervi in allarme. In ogni caso, però, occhio all’etichetta! Allerta massima da parte del Corpo Forestale dello Stato nei confronti dei trafficanti di olio, che in situazioni come questa possono riuscire a coinvolgere operatori disperati. Secondo la Forestale, si tratta di «colletti bianchi che provano a importare olio straniero o olive da vendere alle aziende in crisi. Senza escludere un potenziale coinvolgimento delle mafie», spiega Amedeo De Franceschi, direttore della divisione sicurezza agroalimentare del Corpo Forestale. Su e giù per l’Italia Vediamo in sintesi qual è la situazione dell’olio italiano, in sofferenza da Nord a Sud, nessuno escluso, dove non ci si aspettava un contesto simile. Toscana. Lo scenario 2014 dell’oro giallo, pilastro dell’economia e terza voce dell’export della regione dopo vino e moda, oltre che simbolo della qualità del territorio, è da decimazione. Come era già evidente alla vigilia della raccolta, a causa delle tre ondate di attacchi della mosca Bactrocera Oleae, contro cui gli altrettanti trattamenti delle piante (invece dell’unico, o al massimo i due, che si fanno di solito) sono serviti a poco, il crollo della produzione (di solito 18mila quintali annui) è stato del 70%, fra olio Igp, Dop e non, con punte di oltre il 90% in alcune zone. Se in Umbria l’Ismea prevede una diminuzione della produzione pari al 45%, nella regione con la più alta incidenza sulla produzione olivicola italiana, la Puglia, si parla della maggiore emergenza degli ultimi 15 anni. Oltre le intemperie e la mosca, infatti, i coltivatori del Salento hanno dovuto fare i conti con la Xylella, il batterio killer che ha mandato in fumo ettari di oliveti. I predoni delle olive sono i protagonisti della cronaca in Liguria, in grandissima difficoltà a causa della mancanza di olive taggiasche. Qui il calo si aggira intorno al 60%, e per la prima volta in 100 anni si dovrà ricorrere all’importazione. Anche la Calabria, seconda regione dopo la Puglia, denuncia un calo dell’80%. Uno scenario devastante anche dal punto di vista economico, che ha piegato moltissime famiglie, che ora non possono far altro che sperare nella prossima annata. In conclusione, noi di Slow Food vi suggeriamo di contattare il vostro produttore di fiducia, sperando che sia riuscito a salvare parte del raccolto. Se così non fosse, controllate nella Guida agli extravergini di Slow Food Editore, i suggerimenti non mancano e troverete l’olio che fa per voi! A cura di Alessia Pautasso Natale, lo spirito giusto? Evitare sprechi ed eccessi 15/12/2014 Parlare dell’accoppiata cibo e Natale è un po’ come sfondare una porta aperta. Come per tutte le principali feste religiose, nell’ambito di ogni tipo di culto, e per molte altre tradizioni che scandiscono il nostro annuario, il legame con ciò che ci nutre è inscindibile e determinante. Il rito prevede quasi sempre cibo, oppure divieti in tal senso. È quasi banale ricordare il ramadan, tutte le feste ebraiche, ma anche come nelle religioni orientali il rapporto con l’alimentazione sia qualcosa che riveste anche una funzione profondamente spirituale, si pensi per esempio alla tipica dieta coreana, una sorta di ying e yang quotidiano tradotto nel piatto. Si prova a nutrire l’anima, oltre che il corpo. Inoltre si pratica una forma di rispetto verso se stessi e la propria comunità, tanto più nel momento in cui i riti sono condivisi. Se guardiamo al Natale è però evidente come la celebrazione sia collettivamente sfociata in una scialba parodia consumistica di ciò che la festa religiosa rappresenta in origine. Segno dei tempi. Spesso diventa una scusa per una bella abbuffata, con conseguente spreco di denaro, salute e cibo che inevitabilmente finisce nella spazzatura. Essendo agnostico convinto, non posso farmi portavoce di un richiamo ai valori che per un cristiano il Natale comporta, ma certo un po’ più di attenzione a non sprecare, a farsi del bene, alla ricerca assieme agli altri di un poco di felicità, secondo le proprie inclinazioni, attitudini e retroterra culturale, ci vorrebbe davvero. Si potrebbe, da non credente, tradurre il tutto a un richiamo per una maggiore sobrietà, ma nel senso che abbiamo precisato con Enzo Bianchi durante le Repubblica delle Idee a Reggio Emilia: «Sobrietà non come rinuncia, ma distanza dall’eccesso». Questa distanza dal vortice natalizio, fatto troppo frequentemente più di quantità che non di qualità, potrebbe intanto indurci a riflettere, a pensare per esempio a come le ricette che cuciniamo a Natale, esattamente come le preparazioni previste da tutti gli altri precetti religiosi dei vari culti o anche da altri tipi di riti a tavola (penso al thanksgiving statunitense e al suo simbolico tacchino) siano qualcosa che in varie forme le nostre famiglie hanno fatto proprie e adattato. Sono un pezzo della nostra identità singola e collettiva, personale e comunitaria, e non ci rendiamo conto abbastanza di quanto dicano di noi stessi. Svilendole, sviliamo noi e i nostri rapporti umani. In una conferenza durante il Salone internazionale del Gusto e Terra Madre, la scrittrice Claudia Roden ha ricordato come lei, assieme a tutti i rifugiati in Inghilterra dopo la Crisi del Canale di Suez nel 1956, sentisse primariamente l’esigenza di raccogliere ricette, e di raccontarle agli altri. Era tutto uno scambiarsi d’istruzioni in cucina: la mia famiglia fa così, io faccio cosà… C’erano l’urgenza e la paura di essere dimenticati, che tutto ciò che si praticava a tavola, nel convivio con i propri cari e nel contesto della propria cultura, potesse sparire per sempre una volta immersi in un’altra nazione, sradicati dalla propria casa. Mentre prepariamo il pranzo o la cena di Natale, mentre siamo a tavola con le nostre famiglie, pensiamo al valore immenso di cosa mettiamo nei piatti, a ciò che rappresenta in termini di relazioni e di appartenenza a una cultura. Custodiamolo dal diluvio consumistico che ci assale in quei giorni, raccontiamocelo mentre lo pratichiamo, anche se ci può sembrare ormai scontato. Perché alla fine è ciò che ci accomuna, nelle differenze, a tutte le altre culture del mondo; è ciò che ci rende umani, cioè esseri in grado di essere felici. È un peccato non provarci con il cibo delle feste. Carlo Petrini Perché va tanto la iceberg? 15/12/2014 Il consiglio di questa settimana parte da un fatto piuttosto sorprendente: in questo momento il tipo d’insalata più venduto in Italia è la iceberg, con la Puglia in testa tra le regioni per la sua quantità di consumo. Fin qui niente di male, se non fosse che quasi tutta la lattuga di questo tipo è prodotta in Spagna e quindi importata. Si dice Spagna ma le zone precise sono Murcia e l’Andalusia, il Sud, all’estremo opposto del Mediterraneo. Immaginate di fare compagnia sul camion a questi cespi d’insalata lungo il loro viaggio fino in Puglia: un’eternità. È davvero un fatto curioso, perché in questo momento nel Paese abbiamo produzione di verdure da foglia di quasi ogni tipo in ogni luogo, e lasciando da parte indivie e scarole che sono di un’altra specie e sono ben più amare, tra lattughe cappucce, lattughe romane e lattughe da taglio non c’è che l’imbarazzo della scelta. Forse, se si vuole cercare qualcosa con le caratteristiche più simili alla iceberg, che si distingue per dolcezza e croccantezza, potremmo orientarci sulle lattughe romane, o anche quelle ricce. Rimane un mistero se sia di più la domanda dei consumatori a decretare il successo della iceberg (quella che si mette nei panini dei fast food, per intenderci) o qualche meccanismo di distribuzione che ha, come dire, innescato le voglie degli italiani, ma proprio non si spiega perché dovremmo rifiutare i prodotti locali a vantaggio di qualcosa che proviene da duemila chilometri di distanza, con il conseguente carico di inquinamento da Tir che porta con sé e anche con una freschezza non proprio di prima mano. Tra l’altro, non si spiega nemmeno perché gli agricoltori italiani non abbiano mai adottato la iceberg (ma non è che lo consigliamo), visto che il ciclo produttivo è breve e la programmazione sarebbe più semplice che in altri casi. In Puglia, che adesso è ancora una cornucopia di buone verdure, perché va tanto la iceberg? È proprio dura capirlo, ma noi sappiamo da che parte stare: da quella delle fresche produzioni locali, colte al mattino presto prima di andare al mercato. Saranno magari più amarognole, dai gusti meno standardizzati, ma ci piace la varietà; che l’insalata non sia mai la stessa. È il momento buono per (ri)scoprire nuovi sapori: oltretutto le insalate locali, che si trovano in crisi per la concorrenza spagnola, hanno circa lo stesso prezzo (1.50 al chilo) della iceberg. Carlo Bogliotti Impariamo a costruire senza consumare il suolo 15/12/2014 S. Martino al Cimino è un borgo pianificato del Seicento, Borromini lo volle a ferro di cavallo intorno a un’antica certosa. Marostica è un borgo pianificato medievale, una scacchiera urbana collegata alla rocca da un triangolo di mura di pietra. Oggi il loro meraviglioso rapporto con la campagna è irrimediabilmente compromesso. Come tanti antichi organismi urbani, S. Martino e Marostica annegano tra le villette. Tutto è stato fatto in regola. Lo scempio è figlio anzitutto di una miseria morale, poi dell’incrocio di ricchezza e povertà: di chi investe nel mattone, di chi ha rinunciato a un’agricoltura amara e dei Comuni, sempre a caccia di un euro in più. Parliamone ora, è l’ultima occasione. È ripartito l’iter legislativo del disegno di legge sul consumo di suolo, grazie all’azione chi ha a cuore Costituzione e salute dei cittadini. Per i ministri dell’Ambiente e dell’Agricoltura il suolo va definito come fondamentale risorsa agricola e naturale, la cui distruzione – a colpi di edilizia, cave, strade, depositi, discariche – compromette la sicurezza idrogeologica, la bellezza, la produzione di cibo sano. È importante: oggi, per la legge, abitati e infrastrutture sono suolo. La pianificazione edile deve “essere pervasa da un’essenziale considerazione delle funzioni del suolo” riguardo a clima, erosione, alimenti, biomasse, riserva genetica, turismo, paesaggio e va governata in “prospettiva residuale, tenendo conto delle effettive esigenze di abitazione”. Ottime premesse; servono misure efficaci. Alcune ci sono: il coinvolgimento nel monitoraggio di Ispra-Arpa e Cra-Inea, la tutela di cascine e casali. Bisogna rafforzare quelle su mitigazione e compensazione, evitare i ricorsi sui diritti acquisiti, censire gli edifici inutilizzati, come chiede il Forum Salviamo il Paesaggio. E cancellare la proroga – prevista dalla legge di Stabilità – dell’uso  di oneri di urbanizzazione per spesa corrente. Un assurdo bancomat che preleva dal patrimonio di tutti, per distruggere la bellezza italiana. Claudio Arbib Coordinamento nazionale Salviamo il Paesaggio e Professore Ordinario del Dipartimento di Ingegneria e Scienze dell’Informazione e Matematica In foto: San Martino al Cimino (Vt), credits: wikimedia commons Da La Stampa del 14 dicembre 2014

Wednesday, December 17, 2014

U2 -the Story

U2 are an Irish rock band from Dublin. Formed in 1976, the group consists of Bono (vocals and guitar), The Edge (guitar, keyboards, and vocals), Adam Clayton (bass guitar), and Larry Mullen, Jr. (drums and percussion). U2's early sound was rooted in post-punk but eventually grew to incorporate influences from many genres of popular music. Throughout the group's musical pursuits, they have maintained a sound built on melodic instrumentals. Their lyrics, often embellished with spiritual imagery, focus on personal themes and sociopolitical concerns. The band formed at Mount Temple Comprehensive School in 1976 when the members were teenagers with limited musical proficiency. Within four years, they signed with Island Records and released their debut album Boy. By the mid-1980s, U2 had become a top international act. They were more successful as a touring act than they were at selling records until their 1987 album The Joshua Tree which, according to Rolling Stone, elevated the band's stature "from heroes to superstars".[1] Reacting to musical stagnation and criticism of their earnest image and musical direction in the late-1980s, U2 reinvented themselves with their 1991 album, Achtung Baby, and the accompanying Zoo TV Tour; they integrated dance, industrial, and alternative rock influences into their sound, and embraced a more ironic and self-deprecating image. They embraced similar experimentation for the remainder of the 1990s with varying levels of success. U2 regained critical and commercial favour in the 2000s with the records All That You Can't Leave Behind (2000) and How to Dismantle an Atomic Bomb (2004), which established a more conventional, mainstream sound for the group. Their U2 360° Tour from 2009–2011 was the highest-attended and highest-grossing concert tour in history. U2 have released 13 studio albums, and are among the all-time best-selling music artists, having sold more than 150 million records worldwide. They have won 22 Grammy Awards, more than any other band; and, in 2005, were inducted into the Rock and Roll Hall of Fame in their first year of eligibility. Rolling Stone ranked U2 at number 22 in its list of the "100 Greatest Artists of All Time", and labelled them the "Biggest Band in the World".[2] Throughout their career, as a band and as individuals, they have campaigned for human rights and philanthropic causes, including Amnesty International, the ONE/DATA campaigns, Product Red, and The Edge's Music Rising. History Formation and early years (1976–79) U2 in 1980. Shown from left to right: Clayton, Mullen, Bono, The Edge. The band formed in Dublin on 25 September 1976.[3] Larry Mullen, Jr., then a 14-year-old student at Mount Temple Comprehensive School, posted a note on the school's notice board in search of musicians for a new band—six people responded. Setting up in his kitchen, Mullen was on drums, with Paul Hewson (Bono) on lead vocals; David Evans (The Edge) and his older brother Dik Evans[4] on guitar; Adam Clayton, a friend of the Evans brothers on bass guitar; and initially Ivan McCormick and Peter Martin, two other friends of Mullen.[5] Mullen later described it as "'The Larry Mullen Band' for about ten minutes, then Bono walked in and blew any chance I had of being in charge." Soon after, the group settled on the name "Feedback" because it was one of the few technical terms they knew.[6] Martin did not return after the first practice, and McCormick left the group within a few weeks. Most of the group's initial material consisted of cover songs, which the band admitted was not their forte.[7] Some of the earliest influences on the band were emerging punk rock acts, such as The Jam, The Clash, Buzzcocks, Sex Pistols and Joy Division. The popularity of punk rock convinced the group that musical proficiency was not a prerequisite to being successful.[8] In March 1977, the band changed their name to The Hype.[10] Dik Evans, who was older and by this time at college, was becoming the odd man out. The rest of the band was leaning towards the idea of a four-piece ensemble and he was "phased out" in March 1978. During a farewell concert in the Presbyterian Church Hall in Howth, which featured The Hype playing covers, Dik ceremonially walked offstage. The remaining four band members completed the concert playing original material as "U2".[11] Steve Averill, a punk rock musician (with The Radiators) and family friend of Clayton's, had suggested six potential names from which the band chose "U2" for its ambiguity and open-ended interpretations, and because it was the name that they disliked the least.[12] On Saint Patrick's Day in 1978, U2 won a talent show in Limerick. The prize consisted of £500 and studio time to record a demo which would be heard by CBS Ireland, a record label. This win was an important milestone and affirmation for the fledgling band.[11] U2 recorded their first demo tape at Keystone Studios in Dublin in May 1978.[13] Hot Press magazine was influential in shaping the band's future; in May, Paul McGuinness, who had earlier been introduced to the band by the publication's journalist Bill Graham, agreed to be U2's manager.[14] The group's first release, an Ireland-only EP entitled Three, was released in September 1979 and was their first Irish chart success.[15] In December 1979, U2 performed in London for their first shows outside Ireland, although they were unable to gain much attention from audiences or critics.[16] In February 1980, their second single "Another Day" was released on the CBS label, but again only for the Irish market.[17] Boy, October, and War (1980–84) Island Records signed U2 in March 1980, and in May the band released "11 O'Clock Tick Tock" as their first international single.[18] The band's debut album, Boy, followed in October. Produced by Steve Lillywhite, it received generally positive reviews.[19] Although Bono's unfocused lyrics seemed improvised, they expressed a common theme: the dreams and frustrations of adolescence.[20] The album included the band's first United States hit single, "I Will Follow". Boy's release was followed by the Boy Tour, U2's first tour of continental Europe and the United States.[21] Despite being unpolished, these early live performances demonstrated U2's potential, as critics noted that Bono was a "charismatic" and "passionate" showman.[22] The band's second album, October, was released in 1981 and contained overtly spiritual themes. During the album's recording sessions, Bono and The Edge considered quitting the band due to perceived spiritual conflicts.[23] Bono, The Edge, and Mullen had joined a Christian group in Dublin called the "Shalom Fellowship", which led them to question the relationship between the Christian faith and the rock and roll lifestyle.[24] Bono and The Edge took time off between tours and decided to leave Shalom in favour of continuing with the band. Recording was further complicated with the theft of a briefcase containing lyrics for several working songs from backstage during the band's performance at a nightclub in Portland, Oregon.[25] The album received mixed reviews and limited radio play. Low sales outside the UK put pressure on their contract with Island and focused the band on improvement.[26] "Sunday Bloody Sunday" (1983) Menu 0:00 "Sunday Bloody Sunday" features a martial drumbeat, raw guitar, and lyrically, a bleak emotionally charged response to violence. Problems playing this file? See media help. Resolving their doubts of the October period, U2 released War in February 1983.[27] A record where the band "turned pacifism itself into a crusade",[28] War '​s sincerity and "rugged" guitar was intentionally at odds with the trendier synthpop of the time.[29] The album included the politically charged "Sunday Bloody Sunday", in which Bono lyrically tried to contrast the events of Bloody Sunday with Easter Sunday.[30] Rolling Stone magazine wrote that the song showed the band was capable of deep and meaningful songwriting. War was U2's first album to feature the photography of Anton Corbijn, who remains U2's principal photographer and has had a major influence on their vision and public image.[31] U2's first commercial success, War debuted at number one in the UK, and its first single, "New Year's Day", was the band's first hit outside Ireland or the UK.[32] Bono performs in Norway during the War Tour in 1983. On the subsequent War Tour, the band performed sold-out concerts in mainland Europe and the US. The sight of Bono waving a white flag during performances of "Sunday Bloody Sunday" became the tour's iconic image.[33] U2 recorded the Under a Blood Red Sky live album and the Live at Red Rocks concert film on tour, both of which received extensive play on the radio and MTV, expanding the band's audience and showcasing their prowess as a live act.[34] With their record deal with Island Records coming to an end, the band signed a more lucrative extension in 1984. They negotiated the return of their copyrights (so that they owned the rights to their own songs), an increase in their royalty rate, and a general improvement in terms, at the expense of a larger initial payment.[35] The Unforgettable Fire and Live Aid (1984–85) The band feared that following the overt rock of the War album and tour, they were in danger of becoming another "shrill", "sloganeering arena-rock band".[37] Thus, they sought experimentation for their fourth studio album, The Unforgettable Fire;[38] as Adam Clayton recalls, "We were looking for something that was a bit more serious, more arty."[36] The Edge admired the ambient and "weird works" of Brian Eno, who, along with his engineer Daniel Lanois, eventually agreed to produce the record;[39] Partly recorded in Slane Castle, The Unforgettable Fire was released in 1984 and was at the time the band's most marked change in direction.[40] It was ambient and abstract, and featured a rich, orchestrated sound. Under Lanois' direction, Mullen's drumming became looser, funkier, and more subtle, and Clayton's bass became more subliminal.[41] Complementing the album's atmospheric sound, the lyrics are open to interpretation, providing what the band called a "very visual feel".[40] Due to a tight recording schedule, however, Bono felt songs like "Bad" and "Pride (In the Name of Love)" were incomplete "sketches".[42] The album reached number one in Britain,[43] and was successful in the US.[44] The lead single "Pride (In the Name of Love)", written about Martin Luther King, Jr., was the band's biggest hit to that point and was their first song to chart in the US top 40.[45] "The Unforgettable Fire" (1984) Menu 0:00 "The Unforgettable Fire" has a rich, symphonic sound built from ambient instrumentation, a driving rhythm, and a lyrical "sketch".[46] Much of The Unforgettable Fire Tour moved into indoor arenas as U2 began to win their long battle to build their audience.[47] The complex textures of the new studio-recorded tracks, such as "The Unforgettable Fire" and "Bad", were problematic to translate to live performances.[40] One solution was programmed sequencers, which the band had previously been reluctant to use, but are now used in the majority of the band's performances.[40] Songs on the album had been criticised as being "unfinished", "fuzzy", and "unfocused", but were better received by critics when played on stage.[48] U2 participated in the Live Aid concert for Ethiopian famine relief at Wembley Stadium in July 1985.[49] U2's performance in front of 72,000 fans in the stadium in an event that had a worldwide television audience of two billion people was a pivotal point in the band's career.[50] During a 14-minute performance of the song "Bad", Bono leapt down off the stage to embrace and dance with a fan, showing a television audience the personal connection that Bono could make with audiences.[51] In 1985, Rolling Stone magazine called U2 the "Band of the '80s", saying that "for a growing number of rock-and-roll fans, U2 have become the band that matters most, maybe even the only band that matters".[35] The Joshua Tree and Rattle and Hum (1986–89) For their fifth album, The Joshua Tree,[53] the band wanted to build on The Unforgettable Fire  '​s textures, but instead of out-of-focus experimentation, they sought a harder-hitting sound within the limitation of conventional song structures.[54] Realising that "U2 had no tradition" and that their knowledge of music from before their childhood was limited, the group delved into American and Irish roots music.[55] Friendships with Bob Dylan, Van Morrison, and Keith Richards motivated the band to explore blues, folk, and gospel music and focused Bono on his skills as a songwriter and lyricist.[56] U2 interrupted the album sessions in mid-1986 to serve as a headline act on Amnesty International's A Conspiracy of Hope tour. Rather than being a distraction, the tour added extra intensity and focus to their new material.[57] Later that year, Bono travelled to San Salvador and Nicaragua and saw first-hand the distress of peasants bullied in internal conflicts that were subject to US political intervention. The experience became a central influence on the new music.[58] The tree pictured on The Joshua Tree album sleeve. Adam Clayton said, "The desert was immensely inspirational to us as a mental image for this record."[59] The Joshua Tree was released in March 1987. The album juxtaposes antipathy towards US foreign policy against the group's deep fascination with the country, its open spaces, freedom, and ideals.[60] The band wanted music with a sense of location and a "cinematic" quality, and the record's music and lyrics draw on imagery created by American writers whose works the band had been reading.[61] The Joshua Tree became the fastest-selling album in British chart history, and topped the Billboard 200 in the United States for nine consecutive weeks.[62] The first two singles, "With or Without You"[37] and "I Still Haven't Found What I'm Looking For", quickly became the group's first number-one hits in the US. They became the fourth rock band to be featured on the cover of Time magazine,[63] which declared that U2 was "Rock's Hottest Ticket".[64] The album won U2 their first two Grammy Awards,[65] and it brought the band a new level of success. Many publications, including Rolling Stone, have cited it as one of rock's greatest.[66] The Joshua Tree Tour was the first tour on which the band played shows in stadiums, alongside smaller arena shows.[67] The documentary Rattle and Hum featured footage recorded from The Joshua Tree Tour, and the accompanying double album of the same name included nine studio tracks and six live U2 performances. Released in October 1988, the album and film were intended as a tribute to American music;[68] they included recordings at Sun Studios in Memphis and performances with Bob Dylan and B. B. King. Rattle and Hum performed modestly at the box office and received mixed reviews from both film and music critics;[69] one Rolling Stone editor spoke of the album's "excitement", another described it as "bombastic and misguided".[70] The film's director, Phil Joanou, described it as "an overly pretentious look at U2".[71] Most of the album's new material was played on 1989's Lovetown Tour, which only visited Australasia, Japan and Europe, so as to avoid the critical backlash the group faced in the US. In addition, they had grown dissatisfied with their live performances; Mullen recalled that "We were the biggest, but we weren't the best".[72] With a sense of musical stagnation, Bono said to fans on one of the last dates of the tour that it was "the end of something for U2" and that they had to "go away and... just dream it all up again".[73] Achtung Baby, Zoo TV, and Zooropa (1990–93) Stung by the criticism of Rattle and Hum, the band sought to transform themselves musically.[75] Seeking inspiration on the eve of German reunification, they began work on their seventh studio album, Achtung Baby, at Hansa Studios in Berlin in October 1990 with producers Daniel Lanois and Brian Eno.[76] The sessions were fraught with conflict, as the band argued over their musical direction and the quality of their material. While Clayton and Mullen preferred a sound similar to U2's previous work, Bono and The Edge were inspired by European industrial music and electronic dance music and advocated a change. Weeks of tension and slow progress nearly prompted the group to break up until they made a breakthrough with the improvised writing of the song "One".[77] They returned to Dublin in 1991, where morale improved and the majority of the album was completed. "The Fly" (1991) Menu 0:00 "The Fly" features hip-hop beats, distorted vocals, and a hard industrial edge that differed from U2's typical sound.[78] Achtung Baby was released in November 1991. The album represented a calculated change in musical and thematic direction for the group; the shift was one of their most dramatic since The Unforgettable Fire.[79] Sonically, the record incorporated influences from alternative rock, dance, and industrial music of the time, and the band referred to its musical departure as "four men chopping down the Joshua Tree".[80] Thematically, it was a more introspective and personal record; it was darker, yet at times more flippant than the band's previous work. Commercially and critically, it has been one of the band's most successful albums. It produced five hit singles, including "The Fly", "Mysterious Ways", and "One", and it was a crucial part of the band's early 1990s reinvention.[81] Like The Joshua Tree, many publications have cited the record as one of rock's greatest.[66] The Zoo TV Tour was a multimedia-intensive event, featuring a stage that used dozens of video screens. Like Achtung Baby, the 1992–1993 Zoo TV Tour was an unequivocal break with the band's past. In contrast to the austere stage setups of previous U2 tours, Zoo TV was an elaborate multimedia event. It satirised the pervasive nature of television and its blurring of news, entertainment, and home shopping by attempting to instill "sensory overload" in its audience.[80][82][83] The stage featured large video screens that showed visual effects, random video clips from pop culture, and flashing text phrases.[84] Whereas U2 were known for their earnest performances in the 1980s, the group's Zoo TV performances were intentionally ironic and self-deprecating;[80] on stage, Bono performed as several over-the-top characters, including "The Fly",[85] "Mirror Ball Man", and "MacPhisto".[86] Prank phone calls were made to President Bush, the United Nations, and others. Live satellite link-ups to war-torn Sarajevo caused controversy.[87] Quickly recorded during a break in the Zoo TV Tour in mid-1993, the Zooropa album expanded on many of the themes from Achtung Baby and the Zoo TV Tour. Initially intended as an EP, Zooropa ultimately evolved into full-length LP album. It was an even greater departure from the style of their earlier recordings, incorporating further dance influences and other electronic effects.[88] Johnny Cash sang the lead vocals on "The Wanderer". Most of the songs were played at least once during the 1993 legs of the tour, which visited Europe, Australia, New Zealand and Japan; half the album's tracks became permanent fixtures in the setlist.[89] Although the commercially successful Zooropa won the Grammy Award for Best Alternative Music Album in 1994, the band regard it with mixed feelings, as they felt it was more of "an interlude". Passengers, Pop, and PopMart (1994–99) In 1995, U2 released an experimental album called Original Soundtracks 1. Brian Eno, producer of four previous U2 albums, contributed as a full partner, including writing and performing. For this reason and due to the record's highly experimental nature, the band chose to release it under the moniker "Passengers" to distinguish it from U2's conventional albums. Mullen said of the album, "There's a thin line between interesting music and self-indulgence. We crossed it on the Passengers record."[90] It was commercially unnoticed by U2 standards and it received generally mixed reviews. However, the single "Miss Sarajevo" featuring Luciano Pavarotti, was among Bono's favourite U2 songs.[91] On 1997's Pop, U2 continued experimenting with dance club culture; tape loops, programming, rhythm sequencing, and sampling provided much of the album with heavy, funky dance rhythms.[93] Released in March, the album debuted at number one in 35 countries and drew mainly positive reviews.[94] Rolling Stone, for example, stated that U2 had "defied the odds and made some of the greatest music of their lives";[95] others felt that the album was a major disappointment. Sales were poor compared to previous U2 releases.[96] The band was hurried into completing the album in time for the impending pre-booked tour, and Bono admitted that the album "didn't communicate the way it was intended to".[97] The PopMart Tour stage featured a golden arch, mirrorball lemon, and, at the time, the largest LED screen in the world. The subsequent tour, PopMart, commenced in April 1997. Like Zoo TV, it poked fun at pop culture and was intended as a send-up of commercialism. The stage included a 100-foot (30 m) tall golden yellow arch (reminiscent of the McDonald's logo), a 150-foot (46 m) long video screen, and a 40-foot (12 m) tall mirrorball lemon. U2's "big shtick" failed, however, to satisfy many who were seemingly confused by the band's new kitsch image and elaborate sets.[98] The postponement of Pop  '​s release date to complete the album meant rehearsal time for the tour was severely reduced, and performances in early shows suffered.[99] A highlight of the tour was the concert in Sarajevo where U2 were the first major group to perform there following the Bosnian War.[100] Mullen described the concert as "an experience I will never forget for the rest of my life, and if I had to spend 20 years in the band just to play that show, and have done that, I think it would have been worthwhile."[101] Bono called the show "one of the toughest and one of the sweetest nights of my life".[102] One month after the conclusion of the PopMart Tour, U2 appeared on the 200th episode of the animated sitcom The Simpsons, "Trash of the Titans", in which Homer Simpson disrupted the band on stage during a PopMart concert. "Reapplying for the job of the best band in the world" (2000–06) U2 perform during the Elevation Tour in Kansas City, 2001. Following the relatively disappointing reception of Pop, U2 declared they were "reapplying for the job ... [of] the best band in the world",[104] and they have since pursued a more conventional rock sound mixed with the influences of their 1990s musical explorations.[105] All That You Can't Leave Behind was released in October 2000 and was produced by Brian Eno and Daniel Lanois. For many of those not won over by the band's 1990s music, it was considered a return to grace;[106] Rolling Stone called it U2's "third masterpiece" alongside The Joshua Tree and Achtung Baby.[107] The album debuted at number one in 32 countries,[108] and its worldwide hit single, "Beautiful Day" earned three Grammy Awards. The album's other three singles, "Stuck in a Moment You Can't Get Out Of", "Elevation" and "Walk On", also won Grammy Awards. For the Elevation Tour, U2 performed in a scaled-down setting, returning to arenas after nearly a decade of stadium productions. A heart-shaped stage and ramp permitted greater proximity to the audience. Following the September 11 attacks, the new album gained added resonance,[66][109] and in October, U2 performed at Madison Square Garden in New York City. Bono and The Edge later said these New York City shows were among their most memorable and emotional performances.[110] In early 2002, U2 performed during halftime of Super Bowl XXXVI,[111] which SI.com ranked as the best halftime show in Super Bowl history.[112] Billboard ranked their performance as the second-best halftime performance, after Prince.[113] "Vertigo" (2004) Menu 0:00 "Vertigo", with its aggressive riff, became a hit worldwide and was used in a cross-promotion with Apple. The band's next studio album, How to Dismantle an Atomic Bomb, was released in November 2004. The band were looking for a harder-hitting rock sound than All That You Can't Leave Behind. Thematically, Bono stated that "a lot of the songs are paeans to naiveté, a rejection of knowingness."[114] The first single, "Vertigo", was featured in an internationally aired television commercial for the Apple iPod; a U2 iPod and an iTunes-exclusive U2 box set were released as part of a promotion with Apple. The album debuted at number one in the US, where the first week's sales doubled that of All That You Can't Leave Behind and set a record for the band.[115] Claiming it as a contender as one of U2's three best albums, Bono said, "There are no weak songs. But as an album, the whole isn't greater than the sum of its parts, and it (really) annoys me."[114] The Vertigo Tour featured a setlist that varied more across dates than any U2 tour since the Lovetown Tour, and it included songs not played since the early 1980s. Like the Elevation Tour, the Vertigo Tour was a commercial success.[116] The album and its singles won Grammy Awards in all eight categories in which U2 were nominated. In 2005, Bruce Springsteen inducted U2 into the Rock and Roll Hall of Fame.[117] A 3-D concert film, U2 3D, filmed at nine concerts during the Latin American and Australian legs of the Vertigo Tour was released on 23 January 2008. In August 2006, the band incorporated its publishing business in The Netherlands following the capping of Irish artists' tax exemption at €250,000.[118] The Edge stated that businesses often seek to minimise their tax burdens.[119] The move was criticised in the Irish parliament.[119][120] The band said the criticism was unfair, stating that approximately 95% of their business took place outside of Ireland, that they were taxed globally because of this, and that they were all "personal investors and employers in the country".[121] ******************************************************************************** Bono would later say, "I think U2's tax business is our own business and I think it is not just to the letter of the law but to the spirit of the law."[122] No Line on the Horizon and U2 360° Tour (2006–2013) The stage structure from the U2 360° Tour, the largest ever constructed, allowed for a 360-degree seating configuration. Recording for U2's twelfth album, No Line on the Horizon, began with producer Rick Rubin in 2006, but the sessions were short-lived and the material was shelved. In June 2007, the band began new sessions with Brian Eno and Daniel Lanois, who contributed not only as producers, but for the first time with U2, as songwriters as well.[123] In March 2008, the band signed a 12-year deal with Live Nation worth an estimated $100 million (£50 million),[124] which includes Live Nation controlling the band's merchandise, sponsoring, and their official website.[125] Recording on the album continued through December 2008 in the US, the UK, Ireland, and Fez, Morocco, where the band explored North African music. Intended as a more experimental work than their previous two albums,[126] No Line on the Horizon was released in February 2009 and received generally positive reviews, including their first five-star Rolling Stone review. Critics, however, noted it was not as experimental as expected. The album debuted at number one in over 30 countries,[127] but its sales have been comparatively low by U2 standards and it did not contain a hit single.[128] The group embarked on the U2 360° Tour in 2009. The shows featured the largest concert stage structure ever, nicknamed "the Claw", and a 360-degree staging/audience configuration that allowed fans to surround the stage from all sides.[129] The tour visited European and North American stadiums in 2009. At year's end, Rolling Stone named U2 one of eight "Artists of the Decade".[130] The group's tours ranked them second in total concert grosses for the decade behind only the Rolling Stones, although U2 had a significantly higher attendance figure. They were the only band in the top 25 touring acts of the 2000s to sell out every show they played.[131] U2 resumed the 360° Tour in 2010 with legs in Europe, Australia, and New Zealand. However, their scheduled headline appearance at the Glastonbury Festival 2010 and their North American leg that year were postponed following a serious injury to Bono's back.[132][133][134] These appearances were rescheduled for 2011 after the South African and South American legs of the tour.[135] By its conclusion in July 2011, U2 360° had set records for the highest-grossing concert tour with $736 million in ticket sales, and for the highest-attended tour with over 7.2 million tickets sold.[136] Following the release of No Line on the Horizon, U2 had tentatively planned a follow-up record of songs from the album's sessions entitled Songs of Ascent, which Bono described as "a meditative, reflective piece of work" with the theme of pilgrimage.[137][138] However, the project was continually delayed and ultimately did not come to fruition.[139] The group continued to record other album projects,[140] including a traditional rock album produced by Danger Mouse and a dance-centric album produced by David Guetta, RedOne, and will.i.am,[141] but they struggled to complete any to their satisfaction and delayed a release. Songs of Innocence (2013–present) In November 2013, U2's long-time manager Paul McGuinness stepped down from his post as part of a deal with Live Nation to acquire his management firm, Principle Management. McGuinness, who had managed U2 for over 30 years, was succeeded by Guy Oseary.[142] In late 2013, U2 suspended work on their next album to contribute a new song, "Ordinary Love", to the film Mandela: Long Walk to Freedom.[143][144] The track, written in honour of Nelson Mandela, won the 2014 Golden Globe Award for Best Original Song.[143][145] In February, another new track, the single "Invisible", was made available for free in the iTunes Store to launch a partnership with Product Red and Bank of America to fight AIDS.[146][147] On 9 September 2014, U2 announced their thirteenth studio album, Songs of Innocence, at an Apple keynote, and released it digitally the same day to all iTunes Store customers at no cost.[148] The release made the album available to over 500 million iTunes customers in what Apple CEO Tim Cook called "the largest album release of all time."[149] Apple reportedly paid Universal Music Group and U2 a lump sum for a five-week exclusivity period[150] and spent $100 million on a promotional campaign.[149] Produced by Danger Mouse with Paul Epworth, Ryan Tedder, Declan Gaffney and long-time collaborator Flood, Songs of Innocence recalls the group members' youth in Ireland, paying tribute to musical inspirations, while touching on childhood experiences, loves and regrets; Bono described it as "the most personal album we've written."[151] Critics and consumers were critical of the roll-out strategy, which involved automatically adding the album to users' iTunes accounts without their consent.[152][153][154] Musical style Instrumentation U2 performing in 2009. The Edge has described U2 as a fundamentally live band. Since their inception, U2 have developed and maintained a distinctly recognisable sound, with emphasis on melodic instrumentals and expressive, larger-than-life vocals.[155] This approach is rooted partly in the early influence of record producer Steve Lillywhite at a time when the band was not known for musical proficiency.[156] The Edge has consistently used a rhythmic echo and a signature delay[157] to craft his distinctive guitar work, coupled with an Irish-influenced drone played against his syncopated melodies[158] that ultimately yields a well-defined ambient, chiming sound. Bono has nurtured his falsetto operatic voice[159] and has exhibited a notable lyrical bent towards social, political, and personal subject matter while maintaining a grandiose scale in his songwriting. In addition, The Edge has described U2 as a fundamentally live band.[158] Despite these broad consistencies, U2 have introduced brand new elements into their musical repertoire with each new album. U2's early sound was influenced by bands such as Television and Joy Division, and has been described as containing a "sense of exhilaration" that resulted from The Edge's "radiant chords" and Bono's "ardent vocals".[160] U2's sound began with post-punk roots and minimalistic and uncomplicated instrumentals heard on Boy and October, but evolved through War to include aspects of rock anthem, funk, and dance rhythms to become more versatile and aggressive.[161] Boy and War were labelled "muscular and assertive" by Rolling Stone,[37] influenced in large part by Lillywhite's producing. The Unforgettable Fire, which began with The Edge playing more keyboards than guitars, as well as follow-up The Joshua Tree, had Brian Eno and Daniel Lanois at the production helm. With their influence, both albums achieved a "diverse texture".[37] The songs from The Joshua Tree and Rattle and Hum placed more emphasis on Lanois-inspired rhythm as they mixed distinct and varied styles of gospel and blues music, which stemmed from the band's burgeoning fascination with America's culture, people and places. In the 1990s, U2 reinvented themselves as they began using synthesisers, distortion, and electronic beats derived from alternative rock, industrial music, dance, and hip-hop on Achtung Baby,[162] Zooropa, and Pop.[163] In the 2000s, U2 returned to a more stripped-down sound, with more conventional rhythms and reduced usage of synthesisers and effects.[164] Lyrics and themes Social and political commentary, often embellished with Christian and spiritual imagery,[165] are a major aspect of U2's lyrical content. Songs such as "Sunday Bloody Sunday", "Silver and Gold", and "Mothers of the Disappeared" were motivated by current events of the time. The former was written about the troubles in Northern Ireland,[166] while the latter concerns the struggle of a group of women whose children were killed or "disappeared" by the government during the Salvadoran Civil War.[167] The song "Running to Stand Still" from The Joshua Tree was inspired by the heroin addiction that was sweeping through Dublin—the lyric "I see seven towers, but I only see one way out" references the Ballymun Towers of Northern Dublin and the imagery throughout the song personifies the struggles of addiction.[168] Bono's personal conflicts and turmoil inspired songs like "Mofo", "Tomorrow" and "Kite". An emotional yearning or pleading frequently appears as a lyrical theme,[155] in tracks such as "Yahweh",[169] "Peace on Earth", and "Please". Much of U2's songwriting and music is also motivated by contemplations of loss and anguish, coupled with hopefulness and resiliency, themes that are central to The Joshua Tree.[37] Some of these lyrical ideas have been amplified by Bono and the band's personal experiences during their youth in Ireland, as well as Bono's campaigning and activism later in his life. U2 have used tours such as Zoo TV and PopMart to caricature social trends, such as media overload and consumerism, respectively.[163] While the band and its fans often affirm the political nature of their music, U2's lyrics and music have been criticised as apolitical because of their vagueness and "fuzzy imagery", and a lack of any specific references to actual people or characters.[170] Influences The band cites The Who,[171] The Clash,[172] Television, Ramones,[173] The Beatles,[174] Joy Division,[175] Siouxsie and the Banshees,[176] Elvis Presley,[177] Patti Smith,[178] and Kraftwerk[179] as influences. Van Morrison has been cited by Bono as an influence[180] and the Rock and Roll Hall of Fame points out his influence on U2.[181] U2 have also worked with and/or had influential relationships with artists including Johnny Cash, Green Day, Leonard Cohen, Bruce Springsteen, B.B. King, Lou Reed and Luciano Pavarotti.[182] Campaigning and activism Bono with then-US President George W. Bush in 2006 Since the early 1980s, the members of U2—as a band and individually—have collaborated with other musicians, artists, celebrities, and politicians to address issues concerning poverty, disease, and social injustice. In 1984, Bono and Adam Clayton participated in Band Aid to raise money for the 1983–1985 famine in Ethiopia. This initiative produced the hit charity single "Do They Know It's Christmas?", which would be the first among several collaborations between U2 and Bob Geldof. In July 1985, U2 played Live Aid, a follow-up to Band Aid's efforts. Bono and his wife Ali, invited by World Vision, later visited Ethiopia where they witnessed the famine first hand. Bono would later say this laid the groundwork for his Africa campaigning and some of his songwriting.[183] In 1986, U2 participated in the A Conspiracy of Hope tour in support of Amnesty International and in Self Aid for unemployment in Ireland. The same year, Bono and Ali Hewson also visited Nicaragua and El Salvador at the invitation of the Sanctuary movement, and saw the effects of the El Salvador Civil War. These 1986 events greatly influenced The Joshua Tree album, which was being recorded at the time.[57][184] In 1992, the band participated in the "Stop Sellafield" concert with Greenpeace during their Zoo TV tour.[185] Events in Sarajevo during the Bosnian War inspired the song "Miss Sarajevo", which premiered at a September 1995 Pavarotti and Friends show, and which Bono and the Edge performed at War Child.[186] A promise made in 1993 was kept when the band played in Sarajevo as part of 1997's PopMart Tour.[187] In 1998, they performed in Belfast days prior to the vote on the Good Friday Agreement, bringing Northern Irish political leaders David Trimble and John Hume on stage to promote the agreement.[188] Later that year, all proceeds from the release of the "Sweetest Thing" single went towards supporting the Chernobyl Children's Project. U2 with Brazilian president Dilma Rousseff in 2011 (from left to right): Mullen, Bono, Rousseff, Clayton, and The Edge In 2001, the band dedicated "Walk On" to Burma's pro-democracy leader Aung San Suu Kyi.[189] In late 2003, Bono and the Edge participated in the South Africa HIV/AIDS awareness 46664 series of ************************************************************************** concerts hosted by Nelson Mandela.[190] The band played 2005's Live 8 concert in London. The band and manager Paul McGuinness were awarded Amnesty International's Ambassador of Conscience Award for their work in promoting human rights.[191] Since 2000, Bono's campaigning has included Jubilee 2000 with Bob Geldof, Muhammad Ali, and others to promote the cancellation of third-world debt during the Great Jubilee. In January 2002, Bono co-founded the multinational NGO, DATA, with the aim of improving the social, political, and financial state of Africa. He continued his campaigns for debt and HIV/AIDS relief into June 2002 by making high-profile visits to Africa.[192] Product Red, a 2006 for-profit brand seeking to raise money for the Global Fund, was founded, in part, by Bono. The ONE Campaign, originally the US counterpart of Make Poverty History, was shaped by his efforts and vision. In late 2005, following Hurricane Katrina and Hurricane Rita, The Edge helped introduce Music Rising, an initiative to raise funds for musicians who lost their instruments in the storm-ravaged Gulf Coast.[193] In 2006, U2 collaborated with pop punk band Green Day to record a remake of the song "The Saints Are Coming" by The Skids to benefit Music Rising.[194] A live version of the song recorded at the Louisiana Superdome was released on the single. U2 and Bono's social activism have not been without its critics, however. Several authors and activists who publish in politically left journals such as CounterPunch have decried Bono for allowing his celebrity to be coopted by an association with political figures such as Paul Wolfowitz,[195] as well as his "essential paternalism".[196] Other news sources have more generally questioned the efficacy of Bono's campaign to relieve debt and provide assistance to Africa.[197] Tax and development campaigners have also criticised the band's move from Ireland to the Netherlands to reduce its tax bill.[198] Other projects The members of U2 have undertaken a number of side projects, sometimes in collaboration with some of their bandmates. In 1985, Bono recorded the song "In a Lifetime" with the Irish band Clannad. The Edge recorded a solo soundtrack album for the film Captive in 1986,[199] which included a vocal performance by Sinéad O'Connor that predates her own debut album by a year. Bono and The Edge wrote the song "She's a Mystery to Me" for Roy Orbison, which was featured on his 1989 album Mystery Girl.[200] In 1990, Bono and The Edge provided the soundtrack to Royal Shakespeare Company London stage version of A Clockwork Orange (only one track, "Alex Descends into Hell for a Bottle of Milk/Korova 1",[citation needed] on the b-side to "The Fly" single, was ever released). That same year, Mullen co-wrote and produced a song for the Irish International soccer team in time for the 1990 FIFA World Cup, called "Put 'Em Under Pressure", which topped the Irish charts. Together with The Edge, Bono wrote the song "GoldenEye" for the 1995 James Bond film GoldenEye, which was performed by Tina Turner.[201] Clayton and Mullen reworked the "Theme from Mission: Impossible" for the franchise's 1996 film.[202] Bono loaned his voice to "Joy" on Mick Jagger's 2001 album Goddess in the Doorway.[203] Bono also recorded a spare, nearly spoken-word version of Leonard Cohen's "Hallelujah" for the Tower of Song compilation in 1995. Additionally, in 1998, Bono collaborated with Kirk Franklin and Crystal Lewis along with R. Kelly and Mary J. Blige for a successful gospel song called "Lean on Me". Aside from musical collaborations, U2 have worked with several authors. American author William S. Burroughs had a guest appearance in U2's video for "Last Night on Earth" shortly before he died.[204] His poem "A Thanksgiving Prayer" was used as video footage during the band's Zoo TV Tour. Other collaborators include William Gibson and Allen Ginsberg.[205] In early 2000, the band recorded three songs for The Million Dollar Hotel movie soundtrack, including "The Ground Beneath Her Feet", which was co-written by Salman Rushdie and motivated by his book of the same name.[206] In 2007, Bono appeared in the movie Across the Universe and performed The Beatles songs. Bono and The Edge also wrote the music and lyrics for the Broadway musical Spider-Man: Turn Off the Dark. Additionally, The Edge created the theme song for Season 1 and 2 of the animated television series The Batman.[207] Legacy Main article: List of awards received by U2 Rolling Stone ranked The Edge and Bono among the greatest guitarists and singers, respectively. U2 have sold more than 150 million records, placing them among the best-selling music artists in history.[208] With 51.5 million certified units by the RIAA, U2 rank as the 21st-highest-selling music artist in the US.[209] The group's fifth studio album The Joshua Tree is one of the best-selling albums in the US (10 million copies shipped) and worldwide (25 million copies sold).[210][211] Forbes estimates that U2 earned US$78 million between May 2011 and May 2012, making them the fourth-highest-paid musical artist.[212] The Sunday Times Rich List 2013 estimated the group's collective wealth at €632,535,925.[213] Rolling Stone placed U2 at number 22 on its list of the "100 Greatest Artists of All Time",[214] while ranking Bono the 32nd-greatest singer[215] and The Edge the 38th-greatest guitarist.[216] In 2004, Q ranked U2 as the fourth-biggest band in a list compiled based on album sales, time spent on the UK charts, and largest audience for a headlining show.[217] A 2011 readers' poll in Q named U2 the Greatest Act of the Last 25 Years.[218] VH1 placed U2 at number 19 on its 2010 list of "The 100 Greatest Artists of All Time".[219] In 2010, eight of U2's songs appeared on Rolling Stone '​s updated list of "The 500 Greatest Songs of All Time", with "One" ranking the highest at number 36.[220] Five of the group's twelve studio albums were ranked on the magazine's 2012 list of "The 500 Greatest Albums of All Time"—The Joshua Tree placed the highest at number 26.[66] Reflecting on the band's popularity and worldwide impact, Jeff Pollack for The Huffington Post said, "like The Who before them, U2 wrote songs about things that were important and resonated with their audience".[221] U2 received their first Grammy Award in 1988 for The Joshua Tree, and they have won 22 in total out of 34 nominations, more than any other group.[65][222] These include Best Rock Duo or Group, Album of the Year, Record of the Year, Song of the Year and Best Rock Album. The British Phonographic Industry has awarded U2 seven BRIT Awards, five of these being for Best International Group. In Ireland, U2 have won 14 Meteor Awards since the awards began in 2001. Other awards include one AMA, four VMAs, eleven Q Awards, two Juno Awards, three NME Awards, and two Golden Globe Awards. The band were inducted into the Rock and Roll Hall of Fame in early 2005.[117] In 2006, all four members of the band received ASCAP awards for writing the songs, "I Still Haven't Found What I'm Looking For", and "Vertigo".[223]